Cavallo denaro

Di Pedro Costa, Portogallo 2014, 115'

Cinema

Ventura, manovale in pensione, è un immigrato capoverdiano alla periferia di Lisbona. In un eterno presente successivo al rovesciamento della dittatura di Salazar, il protagonista vaga in un ospedale che è anche prigione e fabbrica, solo o in dialogo con voci e presenze; come quella dell'amico Joaquim, ferito dallo stesso Ventura in un conflitto armato, e della moglie Vitalina, che ne piange la scomparsa.
All'indomani della Rivoluzione dei Garofani, nella primavera del '74, i trapiantati a Lisbona, molti dei quali erano uomini in fuga dalla povertà delle ex colonie portoghesi in Africa, videro presto deluse le loro speranze in un futuro migliore. Soltanto intorno alla metà degli anni novanta lo Stato iniziò a interessarsi alla causa, facendo edificare senza criterio nuovi alloggi a Casal da Boba, dove gli emigrati sono confinati tutt'oggi in condizioni disagiate. Prima di quel momento vivevano accampati a Fontainhas, la baraccopoli multietnica dove Pedro Costa ha girato Ossos (1997), No Quarto da Vanda (2000), e Juventude em marcha (2006), di cui quest'opera è in un certo senso la prosecuzione.
Protagonista è ancora una volta Ventura, sorta di zombi in terra nullius, relitto di una storia alla quale altri uomini hanno sottratto, insieme con ogni prospettiva di vita, la dimensione presente del qui e ora. "Tu non hai un destino né un orizzonte. Non hai e non sei" gli dice un soldato della rivoluzione nella lunga (oltre 20 min.) sequenza in ascensore recuperata per intero dal frammento "Lamento da vida jovem" del film a episodi Centro Histórico. Ventura, come il popolo degli ultimi che rappresenta e di cui racconta la sconfitta, erra così per l'enorme macchina burocratica che vorrebbe identificarlo ma che gli nega la possibilità di trovarsi nel mondo, tra carte e documenti che restano l'unica narrazione in cui potersi riconoscere, come gli atti di nascita e di matrimonio nei quali Vitalina recupera la propria memoria e quella del marito perduto.
 Cinema politico, che si muove in modo sperimentale dentro spazi fotografici e quadri fissi, che documenta il reale come fanno, a inizio Novecento, gli scatti americani del danese Jacob Riis, posti a programma in apertura. Cinema che rivendica senza compromessi il suo essere nel mondo, testamento militante di uomini senza più volontà che non quella di dimenticare o di essere ricordati. Pardo per la miglior regia al Festival del Film di Locarno 2014.                

           

            

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