I libri parrocchiali propriamente detti sono: il libro del battesimo, della cresima, del matrimonio, dei morti e dello stato delle anime. La loro compilazione, per finalità tanto religiose quanto civili, abbraccia un periodo che, nella diocesi di Trento, va mediamente dai tempi del Concilio tridentino fino al 1° gennaio 1924, data dell'impianto dello stato civile italiano.
I registri di battesimo e di matrimonio furono introdotti nel diritto canonico per opera del Decretum de Reformatione Matrimonii del Concilio di Trento (Sess. XXIV, capp. 1-2), anche se già prima, dal principio del sec. XV, in qualche diocesi si riscontrano disposizioni in merito alla tenuta dei libri dei battezzati. Il registro dei morti - anch'esso in uso già prima del Concilio - il registro dei cresimati e il "Liber animarum" vennero invece introdotti come regola generale dal Rituale Romano di Paolo V nel 1614, che proponeva altresì le formule per la corretta stesura degli atti nei singoli libri (cfr. § Formulae scribendae in libris habendis apud parochos ut infra notatur).
Nelle parrocchie della diocesi trentina tale normativa, almeno per quanto riguarda i libri dei battezzati, dei matrimoni e dei morti, trovò applicazione in tempi relativamente brevi; numerosi e puntuali furono poi nel corso degli anni gli interventi dei vescovi, sia negli atti di giurisdizione che nelle visite pastorali, per la loro esatta compilazione e conservazione. I registri dei cresimati e gli stati delle anime, invece, furono usati con sistematicità solo a partire dal sec. XIX in conseguenza del trasferimento ai curatori d'anime del compito di ufficiale di stato civile.
L'interesse dell'autorità politica verso i libri canonici si manifestò con la lettera circolare del 1° maggio 1781, che li dichiarava documenti pubblici anche a tutti gli effetti civili. La successiva legge imperiale del 20 febbraio 1784 prescrisse modelli e lingua uniformi da usarsi nella loro compilazione. Dopo la parentesi del dominio bavarese e del Regno Italico, durante i quali le competenze in materia di stato civile furono trasferite ai comuni - senza però che, per questo, venisse meno la regolare tenuta dei libri parrocchiali da parte dei parroci - la legge imperiale del 20 aprile 1815 (per i matrimoni) e il decreto del I.R. Commissione Aulica Centrale d'Organizzazione emanato il 21 agosto riconsegnarono ai curatori d'anime il compito di tenere le matricole. Una funzione, quella di ufficiale di stato civile, che veniva ampiamente riconosciuta nelle norme del Codice civile universale austriaco introdotto in regione il 1° ottobre 1815 (oltre alla corretta e puntuale tenuta dei libri d'anagrafe, al parroco spettava il rilascio dei certificati di moralità, di povertà, dell'esistenza di pensionati e di tutte quelle attestazioni che derivavano dai registri parrocchiali). Varie e numerose furono successivamente le disposizioni emanate dagli organi ecclesiastici, spesso su sollecitazione dell'autorità governativa, per regolare singoli aspetti delle registrazioni.
Durante la dominazione austriaca la registrazione dei nati avveniva all'atto del battesimo. Il valore del padrino quale testimone era ribadito sia dalle autorità ecclesiastiche che da quelle civili; queste ultime pure impartirono a più riprese speciali "istruzioni" per la registrazione dei nati illegittimi.
Una cura particolare era richiesta al curatore d'anime nella formazione degli atti inerenti alla celebrazione del matrimonio e nella registrazione dello stesso (Cod. civ. austr., § 80). Generalmente questa documentazione comprende: la fede di battesimo, il certificato della necessaria istruzione religiosa, l'attestato delle eseguite pubblicazioni degli sponsali, il permesso politico (richiesto dalla legislazione civile solo nelle province del Tirolo e del Vorarlberg, il documento attestava che gli sposi avevano notificato al comune la loro intenzione di contrarre matrimonio), il consenso paterno per i minorenni, la fede di morte del coniuge per un/a vedovo/a, le eventuali dispense rilasciate dalle competenti autorità (per impedimenti ecclesiastici, divieti civili, per pubblicazioni da farsi in chiesa...). La denuncia da farsi in tre giorni di domenica o di festa all'adunanza ordinaria nella chiesa parrocchiale del distretto era condizione necessaria per la validità del matrimonio (oltre alla prescrizione ecclesiastica, lo stabiliva il Cod. civ. austr., § 71)
Per tutto il periodo della dominazione austriaca il matrimonio celebrato in chiesa ebbe dunque validità civile. Con l'annessione al Regno d'Italia matrimonio religioso e matrimonio civile cominciarono ad essere celebrati separatamente; poi, con il Concordato del 1929 e con la successiva legge del 27 maggio 1929, n. 847, anche lo Stato Italiano riconobbe la validità civile del matrimonio celebrato secondo le norme del diritto canonico. Al parroco pertanto spettò l'incarico di notificare al comune l'avvenuta celebrazione del matrimonio per la sua trascrizione nei registri anagrafici.
La registrazione dei morti riportava i dati anagrafici del defunto e la causa del decesso rilevata dal certificato rilasciato dal visitatore dei morti.
Lo stato delle anime doveva contenere distintamente ad una ad una tutte le famiglie della cura d'anime e l'elenco, da aggiornarsi all'inizio di ogni anno, di tutte le persone che al momento della registrazione le componevano.
Il registro degli sponsali documentava la reciproca promessa di matrimonio espressa dai futuri sposi, dopo l'examen matrimoniale e previo accertamento dell'inesistenza di impedimenti ecclesiastici e civili, alla presenza del parroco e degli opportuni testimoni. L'esame doveva aver luogo al primo presentarsi degli sposi, prima dunque che avvenisse la prima pubblicazione. Per minorenni o incapaci era d'obbligo il consenso del padre o, in mancanza di questo, del tutore e del giudice (Cod. civ. austr., § 49). Sul registro andavano annotati con pari diligenza e per tempo gli eventuali scioglimenti della promessa.
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