Le decime erano imposte o tributi generici da pagarsi per legge della Chiesa periodicamente al parroco o, più raramente, al vescovo o altra autorità ecclesiastica allo scopo di contribuire al mantenimento di chi amministrava i sacramenti, aveva la cura d'anime e svolgeva funzioni di culto pubblico. Consistevano in una quota (in origine la decima parte) dei frutti di animali (decime sanguinali) o di altre cose (decime reali o prediali) o del reddito di capitale mobiliare o di lavoro (decima personale). Prestazioni analoghe consistenti nel pagamento periodico di una quota dei frutti di un fondo o di un capitale a chi aveva concesso (a titolo di feudo o per altro titolo pubblico laico ovvero a titolo privato) detto fondo o capitale erano a volte dette pure decime, in questo caso dominicali per distinguerle da quelle ecclesiastiche, definite sacramentali. Le decime prediali avevano carattere di onere reale e davano vita a un rapporto di diritto pubblico (tributario) e non privato. Attestate fin dalla Bibbia, citate anche nei vangeli, le decime non si imposero nei tempi della prima cristianità, avvalendosi allora la Chiesa delle offerte spontanee dei fedeli, ma solo a partire dall'alto medioevo, quando si diffusero via via nei vari territori della cristianità secondo leggi e consuetudini locali. A partire dall'XI secolo si assistette a concessioni spontanee di decime a favore di laici oppure si verificarono usurpazioni delle stesse, mentre elaborazioni dottrinali riguardo a tale materia si ebbero più volte nel corso dell'età medievale. Richiami all'obbligo dei versamenti delle decime furono emessi in vari concili, da ultimo anche in quello di Trento.(1)
La serie comprende quattro registri dal 1802 al 1810 (con annotazioni fino al 1827) nei quali registri vengono riportati per partite i nomi e soprannomi dei proprietari dei fondi, una breve descrizione del fondo e la qualità della coltura effettuata, le cifre da esigere e il saldo.
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