Con la circolare imperale del 1 maggio 1781 il curatore d'anime venne investito dell'autorità di funzionario pubblico, incaricato di istruire la pratica matrimoniale, raccogliere la documentazione necessaria, richiedere e rilasciare certificati ad altre parrocchie, occuparsi delle pubblicazioni; in sostanza il parroco garantiva la correttezza delle operazioni burocratiche perché il matrimonio avesse valore, sia dal punto di vista religioso che da quello civile.
La successiva legge imperiale del 20 febbraio 1784 stabilì formule ed espressioni linguistiche uniformi per la compilazione dei registri, ordinando ai curatori d'anime di "impiegare ogni cura ed attenzione, acciocché per il bene de' ... sudditi venga data una forma tale a simili registri, per via della quale lo stato ne possa fare l'uso occorrente, e che dalla loro uniformità ne risulti la sicurezza pubblica come oggetto della legge".
Il curatore d'anime raccoglieva quindi la documentazione necessaria in fascicoli nominativi, nei quali venivano conservati gli esiti degli esami di religione, i consensi paterni (necessari per i minorenni), gli attestati di avvenute pubblicazioni, le attestazioni di regolarità nei confronti dei sacramenti ricevuti dagli sposi (battesimo, cresima), eventuali dispense vescovili. Per il territorio tirolese dal 1820 vennero resi obbligatori anche i certificati politici, che venivano rilasciati dal comune e che attestavano la capacità economica del futuro marito di mantenere una famiglia; senza questa attestazione il matrimonio non poteva essere celebrato (1).
La maggior parte di questa documentazione era costituita da carte sciolte e solo per alcune tipologie di dati si faceva invece ricorso alle registrazioni in quaderno o registri appositi (per esempio per i consensi paterni).
I parroci mantennero il loro ruolo di ufficiali civili fino all'impianto dell'Ufficio di stato civile presso i comuni avvenuto il 1 gennaio 1924 quando, a seguito del regio decreto 24 settembre 1923, n. 2013, vennero estese alle nuove province annesse le disposizioni governative relative allo stato civile (2).
Gli accordi tra la Santa Sede e lo Stato italiano stipulati tramite il Concordato del 1929, restituirono al matrimonio religioso il valore civile e con l'art. 34 veniva stabilito che, a matrimonio celebrato, il sacerdote doveva stilare l'atto di matrimonio, trasmetterne copia integrale al comune entro 5 giorni, affinché venisse trascritto nei registri di stato civile (3). L'ufficiale di stato civile inviava quindi a sua volta al parroco l'attestazione di avvenuta registrazione, con il numero assegnato nel registro comunale, che il parroco indicava nel registro parrocchiale dei matrimoni. Dopo il 1929 la comunicazione al sacerdote dell'avvenuta registrazione ai fini civili è in generale l'ultimo documento che viene inserito nel fascicolo matrimoniale.
La documentazione conservata nei fascicoli matrimoniali è piuttosto omogenea dal punto di vista del contenuto, anche se vi sono pratiche matrimoniali che conservano solo poche carte, mentre altre sono piuttosto voluminose. Questa disparità va attribuita non tanto ad una raccolta di documenti più o meno accurata, quanto piuttosto a qualche spostamento di carte o a perdite accidentali, dal momento che è stato recentemente studiato come i sacerdoti venissero istruiti sulla corretta procedura da seguire per l'iter burocratico, attraverso norme inviate tramite lettere circolari, diffusione di moduli prestampati e manuali pratici, che uniformavano le attività dei sacerdoti stessi contribuendo a costituire raccolte documentarie omogenee nelle diverse parrocchie (4).
La serie è costituita da 4 buste.
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