Tonadico è un comune del Trentino orientale, situato sull'altopiano di Primiero. Il comune comprende le frazioni di Tonadico e di San Martino di Castrozza e confina con il territorio dei comuni di Fiera di Primiero, Transacqua, Siror, Sagron Mis, Moena, Predazzo, nonché con i comuni veneti dell'Agordino.
La regola di Tonadico è antica e la sua importanza si accrebbe a partire dalla seconda metà del XIII secolo, probabilmente anche grazie alla contiguità con Castel Pietra, centro politico della Valle ed espressione del potere signorile. In questo periodo la regola di Tonadico, così come le altre comunità del Primiero, cerca di definire un proprio spazio e di raggiungere una propria autonomia amministrativa; nel XV secolo Tonadico diventa sede del tribunale, togliendo a Pieve di Primiero un'antica prerogativa che era attestata anche negli statuti del 1367 (1).
Dal punto di vista ecclesiastico i fedeli di Tonadico, così come quelli di tutte le realtà religiose del bacino del Cismon, erano sottoposti alla cura dell'arciprete di Primiero, al quale era d'obbligo che facessero riferimento sia per ricevere i sacramenti che per l'assistenza spirituale.
A Tonadico è attestata la presenza di un'antica cappella dedicata ai santi Vittore e Corona, la cui fondazione risalirebbe, sulla base della datazione del ciclo di affreschi più antico, al X secolo, mentre la chiesa, che molti secoli dopo sarebbe divenuta parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, risalirebbe all'inizio del XVI secolo (2).
A Tonadico, già a partire dagli anni Sessanta del Seicento, doveva esser presente un cappellano, che garantiva alcune delle celebrazioni. Nel 1703 don Lorenzo Pastorini da Cividale, in parte donava e in parte vendeva alla regola di Tonadico una casa con un orto, chiedendo in cambio che venissero celebrate per la sua anima, dopo la sua morte, due messe all'anno da parte del beneficiato "pro tempore" della chiesa di San Sebastiano; nell'atto stilato in questa occasione alla presenza dei marzoli della regola di Tonadico, nella parte introduttiva si specifica che il Pastorini aveva servito la regola per 43 anni, recitando la messa nella chiesa di San Sebastiano. Il cappellano dichiarava che la casa e l'orto erano di sua proprietà e che le aveva costruite a proprie spese, quindi per il denaro da lui impiegato le vendeva al comune, ma una parte la donava invece alla regola per appianare qualsiasi debito nel quale potesse essere incorso in conseguenza di "quell'ellemosina e stipendio scosso senz'addempimento tottale delle sue obbligazioni". Il cappellano quindi già dalla fine del XVII secolo aveva residenza stabile a Tonadico e riceveva uno stipendio dalla regola in cambio del servizio religioso (3).
Nel 1745 la comunità dei fedeli di Tonadico rivolgeva una supplica al vescovo di Feltre chiedendo di poter costruire, completamente a spese della comunità, un tabernacolo sull'altare maggiore della cappella di San Sebastiano per tenervi l'eucaristia; questo non implicava che la chiesa acquisisse il diritto di comunicare i suoi fedeli nelle messe ordinarie o straordinarie, ma rispondeva alle necessità di comunicare i malati o i morenti, che spesso non potevano avere il conforto dei sacramenti, poiché la parrocchiale di Fiera era troppo lontana ed era irraggiungibile nelle stagioni in cui il torrente Cismon era in piena. Il vescovo di Feltre, Pietro Maria Trevisan Suarez (1724-1747), acconsentendo alla supplica della comunità, concedeva l'autorizzazione a conservare l'eucaristia sopra l'altare maggiore "in decenti pixide argentea, quae sit munda et suo opercolo bene clausa, albo velo coperta et quantum res fert, ornatum", ma tutto nel rispetto dei diritti parrocchiali e senza pregiudizio dei medesimi. Per "risarcire" la parrocchiale di Fiera, da parte dei fedeli di Tonadico si sarebbero inoltre dovute versare, "una tantum", due libbre di cera alla chiesa di Santa Maria Assunta (4).
Secondo quanto riportato dal Casetti l'erezione a cappellania sarebbe avvenuta ufficialmente nel 1750, ma non se ne trovano in archivio tracce né dirette né indirette (5).
Pur compiendo piccoli passi verso una propria autonomia, la cappellania di Tonadico manteneva, così come in generale tutte le cappellanie e le curazie della zona del Primiero, uno stretto legame con la chiesa matrice di Fiera e, tra gli obblighi che aveva nei confronti della pieve, vi era quello di partecipare alle diverse processioni solenni che si tenevano nella chiesa di Santa Maria Assunta. In merito a quest'onere, nel 1756 sarebbe sorta una diatriba tra le chiese di Tonadico e Siror, perché i massari di entrambe rivendicavano, l'uno nei confronti dell'altro, il diritto di precedenza nel portare il cero nelle processioni del Corpus Domini che si tenevano a Fiera; la sentenza del vicario vescovile di Feltre accordava a questa data la precedenza al massaro di Tonadico (6).
Indipendentemente dallo stato giuridico della cura d'anime, in questo periodo e nei successivi la denominazione dei responsabili in cura d'anime a Tonadico è piuttosto varia, si parla di cappellano, in documenti più tardi si parlerà di vicario espositurale, ma già verso la metà del Settecento il sacerdote in cura d'anime viene definito genericamente curato, inteso in senso lato come responsabile della cura delle anime.
Il cappellano risiedeva stabilmente a Tonadico ed era mantenuto dalla comunità; dalla documentazione superstite si deduce che la comunità aveva diritto di libera scelta, o meglio godeva dello "ius presentandi", del proprio curatore, così come avveniva per le diverse curazie e cappellanie della valle del Primiero. La regola stipulava con i cappellani che venivano chiamati ad occuparsi della "cura animarum" delle convenzioni per determinare obblighi e diritti reciproci. Il primo contratto di questo tenore del quale si ha notizia a Tonadico (ma sicuramente se ne devono presumere altri precedentemente stilati e non conservati) risale all'8 aprile 1764; il comune stipulava allora con don Bartolomeo Pastorini, in cambio del suo servizio religioso, un accordo di pagamento rateale, costituto da una rata in denaro e due in "robba". L'anno successivo i rappresentanti della regola modificavano le modalità di pagamento del curato e stabilivano che questo avvenisse in una sola rata, in tanto sorgo per corrispondere al salario pattuito, che doveva essere raccolto nella settimana prima di Natale dal curato stesso a proprie spese; il sindaco sarebbe dovuto intervenire solo se vi fossero stati dei fedeli inadempienti, ma il sacerdote avrebbe comunque dovuto accettare anche eventuali pagamenti in segale. Quanto agli impegni assunti dal curato nei confronti della comunità in questo documento si accenna solo al fatto che il curato in cambio avrebbe dovuto attendere a tutti gli obblighi stabiliti nel contratto precedentemente stilato, ma non si fa alcuna menzione a quali e quanti fossero precisamente (7).
Nel 1777 lo stesso don Bartolomeo Pastorini chiedeva al comune di avere un aumento della congrua che gli spettava; otteneva quanto richiesto, in cambio tuttavia si impegnava a celebrare ogni martedì una messa presso l'altare di Sant'Antonio (8).
Nell'ordine di vedersi riconosciuta una propria antica tradizione religiosa e di allinearsi alle diverse realtà religiose del territorio che ottenevano in quel periodo dall'autorità ecclesiastica diverse autorizzazioni, nel 1790 il medesimo cappellano Bartolomeo Pastorini, ancora in cura d'anime a Tonadico, si rivolgeva all'Ordinariato vescovile di Trento, al quale a partire dal 1785 il Primiero era stato sottoposto (9), per ottenere, così come era stato concesso alle comunità di Canale e Mezzano, l'autorizzazione a praticare le processioni "antiche"; si trattava della processione del mese di maggio dalla parrocchiale di Fiera alla chiesa filiale dei Santi Vittore e Corona nella domenica più prossima alla loro festa e della processione del mese di giugno dalla parrocchiale di Fiera alla chiesa di San Sebastiano nella festa più vicina al giorno dedicato al santo. La comunità di Tonadico chiedeva inoltre che si potesse reintrodurre l'indulgenza plenaria che anticamente veniva concessa nella festa di San Sebastiano, ma chiedeva anche che questa potesse essere lucrata nella domenica più prossima alla festa del santo, cosicché il popolo non avesse a perdere giorni di lavoro (10).
Per un secolo circa non si individuano in archivio notizie di particolare rilevanza per la vita e la gestione della cappellania di Tonadico. La cappellania, a differenza di quello che era avvenuto in tempi diversi per Sagron, Mezzano, Imer, non venne elevata ufficialmente a curazia, tuttavia negli anni Sessanta dell'Ottocento ottenne dall'Ordinariato di Trento diverse concessioni, che di fatto rappresentarono grandi risultati in termini di autonomia religiosa.
Il 30 settembre 1863 il vescovo di Trento Benedetto Riccabona rispondeva alle suppliche della comunità dei fedeli di Tonadico approvando il capitolato stipulato nel mese di luglio tra il decano della chiesa di Santa Maria Assunta di Fiera e il comune di Tonadico, nel quale la filiale di San Sebastiano otteneva diverse autorizzazioni, che avrebbero portato ad una maggior comodità dei fedeli nelle pratiche religiose, ma anche ad una maggior autonomia della cappellania, che ormai contava più di mille persone, nei confronti della chiesa matrice (11).
La cappellania otteneva la possibilità di distribuire la comunione pasquale, eccettuata la prima comunione dei bambini e quella del Giovedì santo, a patto che avesse ricevuto dalla canonica parrocchiale i "viglietti" pasquali (ossia le certificazioni che ci si era comunicati, come d'obbligo, nel giorno di Pasqua); il cappellano esposto di Tonadico otteneva, per le domeniche e le feste di precetto, il permesso di tenere la dottrina e di cantare il Vespro, purché l'orario non si sovrapponesse a quello delle funzioni serali della chiesa parrocchiale di Fiera, cosicché i fedeli non fossero impediti a partecipare anche a quelle. Il cappellano poteva inoltre cantare le messe di privata devozione che gli fossero state richieste dagli abitanti, ma la celebrazione delle messe mortuarie e delle Gregoriane veniva ancora riservata al parroco di Fiera. Oltre a questo il curato otteneva i diritti di stola bianca per la sepoltura dei bambini, ma i genitori dovevano tuttavia consegnare alla parrocchiale i "viglietti" di morte per ottenere dalla medesima l'autorizzazione per il cappellano a procedere alla sepoltura; il curato otteneva infine il diritto di amministrare il battesimo, a patto che si rispettassero alcune norme che negli anni precedenti erano state promulgate dal vescovo (12).
Secondo tali norme il comune avrebbe dovuto dotare la chiesa di un battistero decente e di tutto ciò che serviva per somministrare il battesimo secondo le regole ecclesiastiche; gli oli santi e l'acqua del fonte battesimale avrebbero dovuto essere ritirati il Sabato santo nella parrocchiale di Fiera, dove venivano benedetti.
Per la registrazione dei battesimi sarebbe stata cura del cappellano farsi consegnare dalla parrocchiale i fogli appositi, che avrebbe dovuto riconsegnare compilati a fine anno. Ogni tre mesi il curato avrebbe inoltre dovuto presentare al parroco di Fiera la lista dei nati e battezzati, i cui nominativi sarebbero stati riportati nel registro conservato nella parrocchiale. Il diritto di rilasciare certificati di nascita e altra documentazione simile rimaneva una prerogativa della parrocchiale e il curato non poteva avere né in uso né in custodia il timbro ufficiale. I privilegi e i diritti persi dalla parrocchiale di Primiero a causa di queste concessioni, venivano risarciti dal comune con la cifra annuale di 10 fiorini da pagare nel mese di luglio; il comune avrebbe inoltre fatto in modo che il curato contribuisse ai pagamenti degli incerti che il parroco di Fiera aveva perso con la rinuncia ad alcune sue funzioni.
L'autorizzazione ai funerali dei bambini e dei battesimi sarebbe entrata in vigore il 1 gennaio 1864, mentre tutte le altre concessioni avrebbero avuto validità a partire dal giorno in cui il capitolato fosse stato approvato dall'Ordinariato vescovile.
Nuovi accordi sarebbero quindi seguiti, in particolare negli anni Ottanta dell'Ottocento; nel 1881 il vicario espositurale aveva presentato al decano di Fiera richiesta di ottenere il timbro, ma questo era stato negato (13).
Nel 1882 il decano Bertamini aveva chiesto che nel capitolato a lui presentato venisse espressamente specificato che il curato doveva rispettare i diritti parrocchiali e inviare al parroco i certificati dei bambini defunti ogni trimestre, spedire inoltre alla parrocchia il quartale dei nati e non apportare modifiche o innovazioni alle celebrazioni tradizionali previste per la cappella senza il permesso del decano di Primiero. Tra le postille il decano richiedeva che fosse inserito tra i suoi diritti quello di ottenere da Tonadico il pagamento del pranzo nella festa di San Sebastiano e Sant'Anna, unica richiesta rigettata dal comune (14).
Nel verso di un documento stilato il 5 maggio del medesimo anno è riportata la minuta di una nuova richiesta alla parrocchiale, nella quale si chiedeva per il curato licenza di timbro e firma per i certificati di povertà e buona morale, che era stata da sempre prerogativa del parroco di Fiera. Le motivazioni addotte erano la maggior conoscenza da parte del curato dei fedeli che richiedevano queste certificazioni, la maggior sollecitudine nel disbrigo delle pratiche e un minor impegno da parte della canonica parrocchiale; la documentazione non conserva tuttavia la risposta del parroco di Fiera.
Nel complesso alla fine dell'Ottocento la cappellania di Tonadico aveva ottenuto una buona autonomia dalla parrocchiale di Fiera, pur con i diversi obblighi ai quali era sottoposta. A partire da questo periodo il cappellano viene sempre più spesso definito curato, ma non vi sono tracce che la cappellania abbia ottenuto il titolo ufficiale di curazia, anche se a partire soprattutto dall'inizio del Novecento è questa la definizione unica che si trova nella documentazione. Nemmeno la bibliografia accenna ad un elevazione di Tonadico a curazia, ma la dice cappella fino alla sua elevazione a parrocchia (15).
Nel 1911, insieme alla curazia di Siror, Tonadico otteneva il diritto di recitare le ore di adorazione del Santissimo il lunedì, il martedì e il mercoledì della Settimana santa, ma tale adorazione non poteva godere delle indulgenze legate alla pratica delle Quaranta ore che si lucravano invece in parrocchia; rimaneva inoltre l'obbligo di partecipare anche alle ore di adorazione organizzate dalla parrocchia, secondo gli orari decisi per le differenti categorie di fedeli (16).
ELENCO DEI CAPPELLANI, CURATI E VICARI ESPOSITURALI O CURAZIALI
1640-1703 don Lorenzo Pastorini da Cividale (UD), cappellano
1764-1796 don Bartolomeo Pastorini da Macerata, cappellano
1796-1824 don Ignazio Tomaselli da Strigno, cappellano
1824-1860 don Pietro Fuganti da Taio, cappellano (dal 1855, assistito da don Pietro Osti e successivamente da don Michele Corradini)
1854-1855 don Pietro Osti da Scurelle, cappellano (assistente di don Pietro Fuganti)
1855-1860 don Michele Corradini da Rallo, cappellano (assistente di don Pietro Fuganti)
1861-1863 don Giorgio Stocchetti da Vigo Meano (TN), vicario espositurale
1863-1881 don Antonio Salvadori da Bollone (BS), vicario espositurale
1881-1919 don Domenico Morandini da Predazzo, curato
1919-1923 don Enrico Motter da Tenna, curato
1923-1940 don Guido Polo da Ziano, curato
1940-1943 padre Angelo Molinari OFM, vicario curaziale
Espandi il testo
Comprimi il testo