Comunità di Avio, Avio, [1400]-1810 settembre 7 ( [1400 ]-1810 settembre 7 )

Comunità di Avio, Avio, [1400]-1810 settembre 7

Comunità di Avio

ente

[1400 ]-1810 settembre 7

Nell'area trentina lo sfruttamento collettivo delle risorse naturali, che in quanto zona di montagna costituì il fondamento dell'organizzazione delle locali comunità di villaggio, è probabile risalisse a tempi antichi, non essendo cessato interamente neppure in età romana e avendo ricevuto un nuovo impulso in età longobarda.
Incerta appare invece nell'ambito italiano più generale l'origine delle comunità di villaggio, sulla quale è stato a lungo dibattuto nelle diverse stagioni storiografiche. La fase di transizione da più antiche forme comunitarie alla comunità rurale vera e propria, dotata delle forme istituzionali che poi ne accompagnarono l'esistenza attraverso il medioevo e l'età moderna, fu assai diversificata da luogo a luogo e si estese all'incirca dall'XI al XIII secolo.
Le comunità rurali trentine (una realtà non sempre uniforme) assunsero il nome di regole, mentre carte di regola erano detti gli statuti che, originati da antiche consuetudini fissate per iscritto a partire dal XIII secolo, normavano lo sfruttamento dei beni collettivi, prescrivendo inoltre modi e termini del governo delle comunità.
L'organizzazione in regole caratterizzò, con mutamenti poco percettibili e di lungo periodo, la vita delle vallate della regione durante tutta l'età medievale e l'antico regime. Solo verso la fine del Settecento il governo asburgico, e in parte anche quelli vescovili di Trento e Bressanone per le comunità trentine che erano a essi sottoposte, operarono per ricondurre tali forme di autogoverno entro l'alveo dell'amministrazione statale in via di consolidamento.
L'istituzione in Tirolo degli Uffici circolari (Kreisämter) nel 1754, regnante l'imperatrice Maria Teresa, determinò nel Circolo ai Confini d'Italia - con capoluogo Rovereto e comprendente gran parte dei territori dell'attuale provincia di Trento facenti capo alla contea del Tirolo - un maggior controllo da parte del Capitano di Circolo anche nei confronti delle comunità.
Mediante Ordinanza del 10 maggio 1787, sotto l'imperatore Giuseppe II, le adunanze regoliere collettive nei feudi trentino-tirolesi (Circolo ai Confini d'Italia) furono sottoposte ad autorizzazione dell'autorità superiore; il 5 gennaio 1805, dopo la secolarizzazione del principato vescovile, detta norma venne estesa anche al resto del territorio. Altre limitazioni (soppressione delle regolanie maggiori e minori) giunsero da parte del governo bavarese il 4 gennaio 1807.
Con l'Editto del 24 luglio 1808, in concomitanza con la ristrutturazione del Regno di Baviera sulla base dell'esperienza istituzionale francese, pur rimanendo formalmente ancora in vigore le carte di regola, quelle che erano ormai definite 'le comuni' furono interamente sottomesse alle autorità statali.
Gli atti finali dell'esistenza delle antiche comunità rurali si compirono sotto il Regno italico. Nel Regio Decreto 24 luglio 1810, che stabiliva la ristrutturazione amministrativa operata nel neoistituito Dipartimento dell'Alto Adige sulla base di quella vigente nel Regno, venivano anche proposte (e poi realizzate con l'attivazione del Dipartimento il 1° settembre 1810) le aggregazioni delle molte comunità sparse sul territorio in un numero fortemente ridotto di comuni amministrativi, posti sotto un diretto e rigido controllo da parte delle autorità statali.
Mediante il successivo Decreto 23 agosto 1810 veniva esteso al Dipartimento l'ordinamento amministrativo dei comuni del Regno italico.

La Comunità di Avio è di origine antica.
Il nome Avio indica non tanto il paese bensì il territorio formato da diversi abitati: Sabbionara d'Avio, Mama d'Avio, Vò Destro, Vò Sinistro (detto anche Vò Casaro), Masi di Avio, San Leonardo, Campei, Fossa.
L'esistenza della comunità di Avio è attestata in archivi veronesi e veneziani almeno dal XIV secolo. In ambito trentino Avio - non espressamente come comunità -è menzionata nel documento del 7 aprile 1307, con cui il vescovo Bartolomeo investe Guglielmo fu Azzone di "Castrobarcho" di Avio, Castellano, Serravalle, Dosso superiore e inferiore, del comitato, pieve e curia di Lizzana (Archivio di stato di Trento, Archivio del Principato vescovile di Trento, Sezione latina, Capsa 33, documento 14) (1).
La comunità è attestata nelle carte dell'archivio comunale di Avio a partire dall'anno 1400(2); parte del principato vescovile di Trento, Avio ne seguì le vicende storico-istituzionali, con alcune importanti eccezioni: infatti fu dapprima affidata in feudo ai Castelbarco, poi divenne dominio della Repubblica di Venezia e membro dei cosiddetti Quattro Vicariati. Inoltre fu per molti secoli legata all'ambito veronese, sia politicamente - mediante i suoi dinasti - che ecclesiasticamente.
Il territorio del Principato vescovile di Trento era suddiviso in gastaldie, affidate ad un gastaldo. Verso la fine del XIII secolo ai gastaldi subentrarono i capitani o i vicari. I capitani avevano giurisdizione criminale, i vicari giurisdizione civile. Alcuni territori furono amministrati, in certi periodi, direttamente da funzionari vescovili oppure concessi dal Principe vescovo in feudo a famiglie aristocratiche: fu così che Avio fu concesso in feudo alla famiglia dei signori di Castelbarco. Il 6 aprile 1307 il principe vescovo di Trento Bartolomeo Quirini dunque investiva della Giurisdizione civile e criminale di Avio Guglielmo di Azzone di Castelbarco, che la trasmise ai suoi eredi, fino ad arrivare ad Azzone Francesco di Castelbarco. Questi redasse un testamento, datato 7 luglio 1410, in cui dispose che in caso di morte di suo figlio Ettore tutti i suoi possessi e diritti avrebbero dovuto passare alla Repubblica di Venezia. Nel 1411 (solo un anno dopo), in virtù di queste disposizioni testamentarie, Avio divenne dominio veneziano. I Veneziani posero dei loro vicari ad Avio - come pure ad Ala, Brentonico e Mori - perché curassero l'amministrazione della giustizia civile. A seguito di quest'evento i quattro paesi passati sotto il governo della Serenissima assunsero la denominazione di "Quattro Vicariati".
In virtù delle vicende della lega di Cambrai nel 1509 i Quattro Vicariati - dunque anche Avio - passarono all'imperatore Massimiliano. Tuttavia già nel 1532 il Principe vescovo di Trento riuscì ad ottenerne la restituzione; il principe vescovo dell'epoca, Bernardo Clesio, lo diede in feudo ad una persona della sua famiglia, così come fecero successivamente anche i principi vescovi Madruzzo. Intanto i Castelbarco avviarono una causa per ritornare in possesso dei loro precedenti possessi; nel 1654, con sentenza del Consiglio aulico dell'Impero, videro riconosciute le loro ragioni e poterono tornare in possesso del feudo.

Come in tutti e quattro i vicariati, il vicario di Avio era giudice; già sotto i Castelbarco e in principio anche sotto il governo veneziano aveva podestà in sede criminale, mentre conservò sempre potestà in sede civile in prima istanza. Oltre al vicario ad Avio aveva sede anche un capitano, che amministrava la giustizia penale per Avio ma anche per il Vicariato di Ala; successivamente la sede venne trasferita a Brentonico.
Il vicario di Avio veniva eletto il primo gennaio di ogni anno dal vicario in carica, dai tre massari e dal consiglio comunale precedenti. Il vicario presiedeva il consiglio comunale ed esercitava diritto di voto e di delibera; riceveva il giuramento dei sindaci e dei consiglieri dei comuni di Borghetto e Pilcante.
Il Vicariato di Avio fu soppresso nel 1810 ed incorporato nella Giudicatura di Ala.
Per il rilievo e la complessità della figura giuridica del vicario, si usa definire "epoca vicariale" il periodo in cui Avio fu governata dal vicario.
La storia della Comunità di Avio e dell'istituto vicariale, come pure della dinastia castrobarcense, furono sempre legate in maniera assai stretta e significativa.
Con la fine dell'antico regime, gli istituti comunitari furono aboliti; la Comunità di Avio è attestata fino al settembre dello stesso anno (si veda, nel presente inventario, la serie di 1.3 "Decreti del general consiglio", 1665-1810, in particolare l'unità contraddistinta dalla segnatura ACAv. 1.1.3-9).

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ente pubblico territoriale

L'antica organizzazione regoliera si fondava su un patrimonio consuetudinario che solo in tempi successivi venne codificato in forma scritta nelle cosiddette carte di regola. Esse costituirono il fondamentale strumento legislativo dell'organizzazione comunitaria e garantirono alla stessa l'esercizio autonomo di una sorta di bassa giurisdizione riguardo ai contenziosi di natura economica e nell'uso dei beni comuni che si sviluppavano con frequenza all'interno delle comunità.
Dal punto di vista normativo la materia regoliera si situava al livello più basso di un contesto statutario assai composito, sia dal punto di vista della gerarchia delle fonti, che da quello della varietà degli esempi locali, ai cui vertici stavano gli statuti per la materia civile e "criminale" (penale).
Caratteristiche comuni agli statuti regolieri, pur all'interno di un panorama assai vario fatto di adattamenti alle esigenze e alle realtà dei singoli villaggi, furono una stesura (così come eventuali riforme e aggiunte) scaturita da esigenze e decisioni collettive e la necessità dell'approvazione da parte dell'autorità superiore competente per territorio: il principe vescovo, il conte del Tirolo, il dinasta feudale, gli organismi preposti all'amministrazione delle due preture cittadine di Trento e Rovereto.
Oltre alle carte di regola, negli archivi comunali si rinvengono spesso normative accessorie per gli ambiti economici più diversi (acque, incendi, vettovaglie e così via), insieme ad altri atti di carattere amministrativo. Per ricostruire la vita delle antiche comunità si deve dunque fare riferimento a una documentazione complessiva assai composita.

La Comunità di Avio, istituto di antico regime, era dotata di propri statuti, risalenti fino al sec. XV, e godeva di privilegi. La raccolta dei privilegi, che va dal 1411 al 1506 (3), è conservata nell'archivio comunale, presso il quale esiste anche una copia ottocentesca degli statuti, mentre l'originale di questi ultimi si trova alla Biblioteca civica di Rovereto.

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L'organizzazione in regole delle comunità rurali era diffusa su tutto il territorio trentino, indipendentemente dal contesto politico di appartenenza (vescovile o tirolese) dei diversi villaggi e dal tipo di vincolo degli stessi nei confronti delle due superiorità: diretto - talvolta mitigato da privilegi - o mediato dall'investitura concessa a favore di qualche casato nobiliare).
Scopo dell'amministrazione regoliera era provvedere all'organizzazione interna di ogni comunità, secondo moduli improntati all'autogoverno, e inoltre disciplinare lo sfruttamento dei beni comuni e tutelare gli ambiti di possesso familiari, nonché dirimere i relativi frequenti contenziosi che ne derivavano, punendo le altrettanto numerose infrazioni che venivano commesse.
Il territorio delle antiche comunità trentine, in origine indivisibile e inalienabile, era costituito:
- in misura minore da beni cosiddetti 'divisi', poderi situati nei pressi dell'abitato assegnati ai diversi nuclei famigliari (fuochi) e nel corso del tempo divenuti simili a proprietà private, benché in parte ancora sottoposti a vincoli collettivi; in questo caso la normativa tutelava diritti individuali: rispetto dei confini, protezione da furti e da danni di vario genere, prescrizioni per la vendemmia, lo sfalcio dei prati e così via, secondo una normativa nutrita e legata alla realtà economica specifica delle diverse comunità;
- in gran parte da ampie superfici boschive e pascolive sfruttate in comunione tra coloro che godevano dei diritti di incolato, i vicini, dove lo scopo della minuziosa regolamentazione era uno sfruttamento ragionato dei beni comuni, che dovevano innanzi tutto integrare il reddito delle singole famiglie.
La diffusione dell'istituzione regoliera avveniva a diversi livelli. Nei casi più frequenti si trattava di singole regole autonome costituite da un villaggio (a volte formato da più nuclei abitati), fino a forme organizzative composte da più di una comunità (comunità di valle, vicinie e altre forme aggregative).
Le comunità di villaggio trentine seguirono linee evolutive e processi di mutamento misurabili solo nel lungo periodo, mantenendo sempre una propria marcata autonomia riguardo all'uso del proprio territorio (fatte salve le prerogative di natura feudale), nonostante qualche intervento correttivo apportato nel corso dell'età moderna dagli apparati politici superiori. La crisi delle regole sopraggiunse solo nel tardo Settecento, con le riforme introdotte dai sovrani illuminati di casa d'Austria e dagli ultimi vescovi tridentini, volte al consolidamento dell'apparato amministrativo e alla riconduzione entro l'alveo statale delle fino ad allora numerose forme di autogoverno periferiche.

La Comunità di Avio era dotata di proprio statuti, che ne regolavano la vita politica e civile e la gestione della cosa pubblica. Secondo il dettato degli statuti, gli uomini di Avio si riunivano in pubblica regola (o generale vicinia) presso la casa comunale di Avio, alla presenza del vicario di Avio.
La comunità aviense godeva del privilegio di eleggere un vicario per l'amministrazione della giustizia civile del Vicariato di Avio. Contro le sentenze emanate dal vicario era possibile appellarsi al podestà di Rovereto e al Capitano della Val Lagarina.
In antico regime Avio fu legata per diverso tempo alla storia della diocesi veronese e al tempo stesso alle consuetudini della città di Verona, come testimoniano anche gli statuti aviensi del 1580.

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Amministrazione

Difficile, a causa della molteplicità della casistica rappresentata, è riassumere in maniera schematica i moduli amministrativi secondo i quali si reggevano le antiche comunità di villaggio trentine. Prescindendo dalle infinite varianti determinate dalla necessità di adattare le norme e l'organizzazione alle esigenze particolari di ogni comunità (dipendenti dal livello altimetrico e dall'economia praticata, nonché dal grado di autogoverno goduto), l'amministrazione regoliera presenta comunque un'intelaiatura che fu comune a tutti i villaggi trentini.
Supremo organo deliberativo era l'assemblea plenaria dei vicini (denominata in vario modo: regola generale, regola grande, regola piena...), che si riuniva almeno una volta all'anno per rinnovare l'apparato amministrativo e per prendere altre risoluzioni determinanti per la vita della comunità (rinnovo degli statuti, rendiconto annuale degli amministratori, vendita di beni comuni e così via). Essa era formata da tutti i capifamiglia del villaggio e costituiva il momento partecipativo sul quale si fondava l'essenza della vita della regola. L'ordinaria amministrazione era solitamente affidata a una sorta di consiglio (esso pure variamente denominato) costituito dagli ufficiali posti ai vertici del governo regoliero.
L'apparato amministrativo, scelto su votazione o col sistema della rotazione, era spesso complesso e appesantito dall'obiettivo di rendere compartecipe un grande numero di soggetti. Se ne possono riassumere le figure principali, che nel caso di comunità ridotte non erano tutte presenti, mentre negli esempi più complessi si moltiplicavano fino a costituire un ingranaggio farraginoso.
Cariche preminenti:
- il sindaco (o sindico), con compiti (più o meno estesi) di supervisione nell'amministrazione e di tutore degli interessi della regola in occasione di vertenze della stessa con l'autorità superiore, con altre comunità, con privati;
- il regolano, dotato spesso di vari compiti, ma soprattutto di una bassa potestà giudiziaria relativamente alle infrazioni statutarie (sostituito nelle vallate meridionali da un console o un massaro);
- i giurati, consiglieri investiti di rilevanti incarichi amministrativi e in qualche più raro caso dotati delle competenze giudiziarie proprie del regolano.
Mansioni esecutive:
- i saltari, con funzioni paragonabili a quelle degli odierni ufficiali giudiziari, messi comunali, vigili urbani, erano però innanzi tutto guardie forestali e campestri;
- altre cariche istituite con una certa frequenza erano quelle di segretario o attuario, degli stimadori dei danni, dei controllori di pesi e misure, degli scossori delle "steure" (da Steuer, tassa) e delle "colte" (o "collette"), dei soprastanti (alle acque, al fuoco, alle vettovaglie), dei pastori (che conducevano il bestiame dei vicini al pascolo e all'alpeggio), del malgaro (che sovrintendeva alla lavorazione e alla distribuzione all'interno della comunità dei prodotti lattiero-caseari).
Nel corso del tempo presso le diverse comunità l'organizzazione amministrativa fu sottoposta a correttivi, apportati sia dall'interno (per avvenuti mutamenti economici e demografici), che da parte della autorità superiori. Ma la sostanza di una gestione svincolata da un effettivo controllo centrale permase fino agli sconvolgimenti introdotti nel tardo Settecento, i quali segnarono il declino dell'antico regime e dell'autogoverno comunitativo, preparando il passaggio verso il comune ottocentesco.

La Comunità di Avio era retta da sindaci.
In epoca vicariale esistevano un "general consiglio" (una sorta di consiglio comunale), composto da consiglieri. La natura del consiglio e le sue competenze seguivano il modello veneziano, completamente opposto alla tradizione trentina (in cui le comunità godevano sena dubbio di minor autonomia).
Erano presenti inoltre i massari, in numero di tre.
Massima importanza rivestì sempre la figura del vicario, eletto dal vicario precedente insieme ai massari e ai consiglieri.
Nel breve arco di tempo della prima dominazione francese ad Avio si insediò la Deputazione comunale, attiva negli anni 1801-1802.

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Il territorio entro il quale si erano sviluppati gli ambiti comunitativi era politicamente e amministrativamente complesso e disomogeneo:
- spiritualmente non tutto l'odierno Trentino apparteneva alla diocesi tridentina (ne erano escluse la Val di Fassa, la Valsugana e altre località minori situate nella parte sudorientale della regione), che si estendeva invece su una parte dell'odierno Sudtirolo-Alto Adige;
- politicamente alcune zone del territorio trentino a partire dal XIII secolo passarono al conte del Tirolo e poi di casa d'Austria (in Val d'Adige a nord di Trento, in Val di Non, in Val di Cembra, in Val di Fiemme, in alta Valsugana, in Vallagarina, verso il lago di Garda), altre non appartennero mai al vescovo di Trento (il Primiero, la bassa Valsugana e la Val di Fassa).
Amministrativamente il territorio trentino era governato:
- in parte direttamente dal principe vescovo (in particolare le valli Giudicarie e la gran parte delle valli di Non e Sole);
- per un'altra parte da famiglie nobili vassalle dello stesso;
- la pretura di Trento (vescovile) dal magistrato consolare;
- una parte da famiglie nobili vassalle del conte del Tirolo;
- la pretura di Rovereto (tirolese) da provveditori;
- la val di Fassa dal principe vescovo di Bressanone.
L'organizzazione dei territori vescovili (suddivisi in gastaldie, scarie e deganie, sotto la supervisione di un vicedomino) quale si presentava nei primi secoli di vita del potere temporale tridentino, con gli inizi dell'età moderna si assestò su forme amministrative rimaste in vita sostanzialmente fino alla fine dell'antico regime.
Le figure più diffuse sul territorio (oltre ad assessori, commissari, massari), dotate di competenze amministrative e giudiziarie erano:
- i vicari (giudici in prima istanza);
- i capitani (a volte detti luogotenenti - giudici in seconda istanza).
Le unità amministrative distribuite sul territorio erano le giudicature (o giurisdizioni), rette appunto da capitani, vicari o altri ufficiali .
Le giudicature che il principe territoriale (il vescovo o il conte del Tirolo) concedeva in amministrazione a terzi erano dette giurisdizioni patrimoniali:
- la pretura di Rovereto (di dipendenza tirolese);
- le giurisdizioni infeudate alla nobiltà, dette più precisamente giurisdizioni dinastiali, poiché un dinasta deteneva una serie ampia di prerogative, tra cui la potestà giudiziaria nei suoi primi livelli.
Il diritto di regolanato maggiore, in origine detenuto dal vescovo e poi spesso ceduto alla nobiltà, permetteva a coloro che ne erano investiti un controllo diretto anche nella sfera economica delle comunità (presiedendo le riunioni di regola ed esercitando in appello la potestà giudiziaria rispetto alle sentenze pronunciate dai regolani delle ville).
Gerarchia politica nel principato:
- principe vescovo: la massima autorità (anche nella materia spirituale nell'ambito però della diocesi);
- capitolo della cattedrale: diritto al governo in periodo di sede vacante e diritto di elezione del vescovo;
- consiglio aulico:
- come organo politico costituito da membri laici (giurisperiti) e da canonici, presieduto dal vescovo, con la partecipazione del capitano tirolese della città di Trento;
- come massimo tribunale del principato costituito solo da membri laici (tribunale di terza istanza dopo le sentenze dei fori locali / di seconda per le cause di valore molto elevato, che in ultima istanza giungevano ai tribunali dell'impero di Spira e Wetzlar.
Nei luoghi del principato dipendenti direttamente dal vescovo vi erano organi propri, preposti all'amministrazione economica, politica e giudiziaria del proprio ambito territoriale. Altrettanto in quelli dipendenti dalla contea del Tirolo.
Le cause provenienti dalle zone del territorio trentino di pertinenza tirolese, dopo i pronunciamenti da parte dei fori locali, passavano al Tribunale d'Appello di Innsbruck.
Fonti statutarie:
- Landesordnung: fonte preminente per il Tirolo (in uso solo per pochi territori trentini annessi alla contea, in altri rimane lo Statuto di Trento, in altri ancora statuti propri);
- Statuto di Trento: fonte preminente nel principato vescovile;
- statuti locali (di valle, dinastiali, di città e borgate ecc.): vigenza limitata e purché non in contrasto con lo Statuto di Trento;
- carte di regola: normativa per l'organizzazione economica e civile delle comunità di villaggio.
L'amministrazione ecclesiastica si intersecava con quella politica, cellule fondamentali dell'organizzazione diocesana erano le pievi, nate ancor prima dell'anno Mille, le quali influirono poi sull'articolazione politica del territorio.
Lungo tutto l'antico regime nei territori asburgici fu assai forte il potere dei ceti o stati, gli Stände, cioè le componenti sociali del paese dotate di rilevanza politica, con le quali il principe territoriale condivideva la gestione del territorio. La dieta tirolese, il Landtag, una sorta di antico parlamento, era l'organo entro il quale periodicamente si riuniva la rappresentanza dei quattro ceti della contea (nobiltà, clero, città, contadini) per prendere decisioni soprattutto in merito alla materia fiscale. La dieta era dotata della facoltà di accogliere o meno le richieste fiscali inoltrate dal principe e dal diritto di organizzare all'interno della contea il prelievo. Le giurisdizioni del territorio (e quindi indirettamente le comunità rurali che vi facevano parte) partecipavano alla dieta all'interno della componente contadina. Con questo sistema furono rappresentate alle diete tirolesi anche alcune giurisdizioni appartenenti alla contea del Tirolo situate in territorio trentino.
Il principato vescovile di Trento e quello di Bressanone presenziavano alle diete tirolesi in qualità di membri aggiunti, al solo scopo di versare i contributi loro spettanti per la difesa comune del territorio, onere cui furono tenuti stabilmente a partire dal 1511. Le giurisdizioni trentine vescovili e le comunità che vi facevano parte non avevano alcuna relazione con la dieta tirolese, essendo il territorio del principato rappresentato solo dal vescovo e dal capitolo. Verso la fine del Settecento, con le riforme attuate nella stagione dell'assolutismo illuminato, i ceti della contea furono gradualmente esautorati di molte prerogative.
Nell'età riformista anche gli ambiti di autogoverno delle comunità furono maggiormente sottoposti agli uffici dello stato e regole iniziarono a essere subordinate agli organismi politici insediati sul territorio.
Negli anni dal 1796 al 1801 sul territorio trentino si succedettero governi francesi e amministrazione austriaca, la quale aveva posto il principato vescovile sotto sequestro. Dopo la secolarizzazione dello stesso nel 1803 e la sua annessione alla Contea del Tirolo, l'intera regione nel 1805 passò al Regno di Baviera. La parte italiana del Tirolo, all'inizio diviso ancora nei due circoli di Trento e Rovereto, nel 1808 venne riunita nel Circolo all'Adige, con capoluogo Trento.
Il territorio fu diviso in giudizi distrettuali, con compiti di controllo anche sui giudizi patrimoniali e dinastiali loro annessi (cui rimase solo la giurisdizione in materia civile).
La rivolta di Andreas Hofer del 1809 pose fine alla permanenza bavarese nel territorio trentino, il quale, con l'aggiunta della zona di Bolzano e privo del Primiero, nel 1810, dopo la sconfitta degli insorti, fu aggregato al Regno italico.

Politicamente appartenente al Principato vescovile di Trento, ecclesiasticamente legata alla diocesi di Verona (fino al 1785, successivamente a quella di Trento), la comunità di Avio era inclusa nella giurisdizione di Ala.
Più precisamente, in ambito ecclesiastico Avio fu "ab origine" parte della diocesi veronese, fino all'epoca di Giuseppe II, che premette affinchè vi fosse concidenza tra dominio politico e dominio ecclesiastico; infatti, non gradendo ingerenze ecclesiastiche da parte di vescovi esterni al suo dominio territoriale, con l'avvallo della Repubblica di Venezia, fece sì che, con Decreto concistoriale del 23 agosto 1785, Avio venisse separata da Verona divenendo parte della diocesi di Trento.
Al principio del XII secolo Avio era sede dell'omonima pieve, dipendente dalla diocesi di Verona; il pievano di Avio è citato in un documento del 1203 (4), ma già nel 1145 è attestata l'esistenza dell'antica pieve, sul sito dell'attuale camposanto dove ora c'è la chiesa dell'Immacolata (5). Fino al 1830 i pievani di Avio ricoprivano anche il ruolo di vicari (decani) foranei, la cui giurisdizione si spingeva oltre i confini del Principato tridentino.
L'esistenza della chiesa parrocchiale di Avio intitolata a Santa Maria è attestata in data 7 luglio 1410 (6).

L'estensione del Giudizio corrispondeva a quella della pieve. Secondo il registro delle decime del 1535 (in Archivio di Stato di Trento, Archivio del Principato vescovile, Sezione latina, capsa 33, n. 11, f. 8v), i paesi che vi erano compresi erano Pilcante, Vò, Sabbionara, Vigo (Avio), Stroppea, Borghetto.

Di estrema importanza furono i rapporti della Comunità di Avio con la famiglia dei Castelbarco, dinasti di Avio per diversi secoli, legati al castello di Sabbionara fino a tempi recentissimi.
Di un certo rilievo, seppure per un arco di tempo assai più ridotto, furono i rapporti con un'altra importante famiglia, quella dei Madruzzo.

In ambito giudiziario operava il vicario di Avio, giudice con podestà in sede criminale (solo per un certo periodo) ed in sede civile in prima istanza. Ebbe inoltre sede ad Avio un capitano, con competenze penali sia in ambito locale sia per il Vicariato di Ala (fino a che la sede non venne trasferita a Brentonico, anch'esso parte dei Quattro Vicariati).
Il Vicariato di Avio fu soppresso nel 1810 ed incorporato nella Giudicatura di Ala.

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(1) "Registrum seu signatura instrumentorum et litterarum quae sunt in Castro Beseni et spectant ad feuda Castrobarcensia", in IPPOLITI G., ZATELLI A.M., Archivi principatus tridentini regesta. Sectio latina, a cura di Frumenzio Ghetta e Remo Stenico, Trento, 2001, I, p. 534-535.
(2) ACAv., 1 Comune di Avio, 1.1 Comunità di Avio, 1.1.7 Atti degli affari della comunità, del vicariato di Avio e del comune di Avio, 1.1.7-1 Volume I: libro degli istrumenti, 1400-1815.
(3) Per questi documenti si rinvia alla descrizione fatta nel presente inventario alle serie 1.1 "Statuti della comunità di Avio", [sec. XV]-1580 e 1.2 "Privilegi", 1411-1506.
(4) Capsa 50, documento 11. In questo documento è citata la chiesa di San Vigilio di Avio. In IPPOLITI G.- ZATELLI A.M., cit., p. 803.
(5) In COSTA A. (a cura di), La chiesa di Dio che vive in Trento, Trento 1986.
(6) Capsa 32, documento 73. In IPPOLITI, ZATELLI, cit., I, p.530.

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La scheda è stata compilata secondo le regole di descrizione di "Sistema informatico degli archivi storici del Trentino. Manuale guida per l'inserimento dei dati", Trento, 2006

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Archivio storico del comune di Avio

Fonti bibliografiche inedite:
FAES M., NEQUIRITO M.(a cura di), Linee di sviluppo e cesure istituzionali nella storia dei comuni trentini dal Medioevo all'unione all'Italia descritte secondo le norme ISAAR, Provincia autonoma di Trento-Soprintendenza per i beni librari e archivistici, 2004 (dattiloscritto)
Il profilo storico-istituzionale riprende per la parte generale questo elaborato.

La bibliografia relativa alla storia di Avio, della comunità omonima, dei Quattro Vicariati e della dinastia dei Castelbarco è assai corposa; in questa sede si è scelto di citare solo le principali opere di carattere generale.
Di particolare rilievo per la storia locale del territorio aviense è la rivista "I Quattro Vicariati"; si rimanda all'utile OSELE A. (a cura di), I Quattro Vicariati 1957-2007: indici, Trento 2007.

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Circolare 16 novembre 1796 con la quale tutto il Distretto del Trentino passa sotto l'amministrazione del Principe del Tirolo

Ordine sovrano del re di Baviera 30 dicembre 1807, concernente l'amministrazione generale della facoltà delle fondazioni e comunale nel Regno

Ordinanza del cesareo regio Giudizio provinciale ed unitovi Capitaniato circolare ai Confini d'Italia del 5 gennaio 1805, che estende a tutto il territorio la circolare dell'i. r. Uffizio capitaniale del Circolo ai Confini d'Italia del 10 maggio 1787, che proibisce la convocazione delle regole generali senza preventiva autorizzazione delle autorità

Ordine del re di Baviera 4 gennaio 1807 che abolisce le regolanie minori e maggiori

Ordine generale del re di Baviera, 24 febbraio 1808, concernente l'amministrazione generale della facoltà delle fondazioni e comunale nel Regno di Baviera, Foglio del Governo n. 5

Editto del re di Baviera 24 settembre 1808, sul sistema comunale

Denominazione Estremi cronologici
Comune di Avio
Denominazione Estremi cronologici
Comune di Avio
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