Il paese di Castello, il cui toponimo deriva dal castello che lo dominava, occupa un'ampia conca delimitata da tre alture: a est lo Zelor, a nord il dosso verso Carano e a sud il dosso della chiesa. Il territorio si allarga poi verso un piano terrazzato sul fondo del quale scorre il torrente Avisio. La sommità su cui sorge la chiesa parrocchiale era un tempo occupata dall'antico castello degli Eppan, tenuto dalla famiglia Enn-Caldiff ministeriali dei conti di Appiano. Verso la fine del XIII secolo fu occupato e dato alle fiamme dai valligiani che ottennero da Enrico, conte del Tirolo, la promessa che la rocca non sarebbe stata ricostruita.
Risale al 1216 la prima notizia relativa ad una cappella eretta nei pressi del castello titolata a S. Giorgio e sembra che, dalla metà del XIV secolo, fosse presente in paese un cappellano per il quale nel 1360 furono estesi i capitoli (1). Per il suo servizio egli percepiva la metà della decima che l'arciprete di Cavalese ricavava da quel territorio. L'ufficio del cappellano di S. Giorgio sembra però non essere durato a lungo; il pievano vantò allora il suo diritto sulla decima di Castello ma la decisione vescovile del 1592 (2) gli impose l'obbligo di celebrare o far celebrare a Castello una messa settimanale e continuare a versare 12 staia di segale al sacrestano di quella chiesa (3). I documenti di questo periodo scarseggiano e non è dato sapere come si provvedesse agli altri bisogni spirituali di quella popolazione e delle frazioni dipendenti dalla sua chiesa. La vera istituzione di una cura d'anime in Castello avvenne nell'anno 1639 in seguito ad una istanza degli uomini di Castello: il 29 luglio 1639 venne infatti stipulata una convenzione tra l'arciprete di Fiemme e la Regola di Castello per stabilire le mansioni di cura d'anime per il futuro curato e la retribuzione per le sue prestazioni (4). I capitoli stabiliti per l'erezione della curazia di Castello sancivano come primo punto il diritto della Regola di Castello di eleggere il proprio curato, in accordo però con l'arciprete. Il sacerdote era obbligato a tenere la cura d'anime e amministrare i sacramenti nella villa di Castello per quella gente e per la popolazione delle frazioni comprese: Masi di Stramentizzo, Solaiolo e S. Lugano. La messa doveva essere celebrata nella chiesa di S. Giorgio tutte le domeniche e feste di precetto e devozionali, oltre alle altre messe imposte dall'arciprete o dalla Regola. Altri obblighi prevedevano di insegnare alla domenica la dottrina cristiana, di tenere scuola ai fanciulli e di andare nelle processioni alla pieve. La Regola di Castello era di contro obbligata a corrispondere al curato per i suoi servizi un salario annuo di 150 ragnesi. Per la formazione del salario il Comune si serviva della decima proveniente dalle campagne di Stramentizzo, ceduta a questo scopo dall'arciprete di Cavalese, dalla quota proveniente dalla chiesa di S. Lugano e il resto dalle casse comunali. Il curato percepiva il suo salario parte in denaro e parte in grano con mezzo carro di vino. La Regola si impegnava inoltre a dare ogni anno "a giusto prezzo passi n. 6" di legna e a concedere gratuitamente l'abitazione che doveva avere annesso un orto. Questa congrua, integrata da alcuni incerti ed elemosine, rimase invariata fino alla metà del XVIII secolo. Già dal 1739 era stato eretto in Stramentizzo un beneficio curato e quella comunità accampò delle pretese contro il curato di Castello che, trovandosi disimpegnato da alcune mansioni di cura d'anime nei riguardi di quella gente, doveva rinunciare alla quota di congrua corrisposta dai Masi di Stramentizzo e cederla al beneficiato (5). La sentenza vescovile del 17 maggio 1756, che accordava alcune attribuzioni di cura d'anime al beneficiato di Stramentizzo (6), confermava però il diritto del curato di Castello di percepire quella decima con l'obbligo di corrispondere la quota di 25 troni l'anno al beneficiato di Stramentizzo. La decisione fu approvata dall'arciprete di Cavalese. La congrua di Castello fu incrementata agli inizi dell'Ottocento dall'assegnazione di 500 fiorini provenienti da un legato lasciato dall'arciprete di Cavalese Giovanni Francesco Riccabona de Reichenfels (7). Il comune di Castello che ricevette il capitale si obbligò ad adoperare gli interessi annui per l'aumento della congrua del curato che veniva quindi ad essere formata dal contributo comunale, dal legato Riccabona e da incerti di stola ed elemosine (8). Il patrimonio del beneficio curaziale non subì altre rilevanti variazioni e il Comune provvide sempre al mantenimento del proprio curato.
La curazia di Castello comprendeva come detto anche le stazioni di Stramentizzo e S. Lugano, filiali che già dalla metà del XIX secolo avevano ottenuto una relativa autonomia dalla matrice. L'attestazione della dipendenza dell'espositura di S. Lugano non fu mai attestata prima del 1850 e talvolta essa venne addirittura negata dai sacerdoti esposti. Il 22 ottobre 1850 infatti l'Ordinariato di Trento con suo decreto sancì che il curato di Castello era il vero e immediato curatore d'anime di S. Lugano (9). L'espositura dipendeva però solo in poche cose dalla chiesa matrice, poiché l'usanza la portava ad esercitare la sua funzione come una curazia. Nel 1964, con la nuova determinazione dei territori delle chiese di Trento e di Bressanone S. Lugano entrò a far parte della diocesi di Bolzano-Bressanone.
Dal 7 luglio 1739 Stramentizzo divenne beneficio curato di Castello. Il curato di Castello, in accordo con la Regola, il 17 maggio 1756 concesse al beneficiato alcune mansioni di cura d'anime come il permesso di battezzare, predicare, assistere gli infermi, seppellire i morti e con delegazione anche celebrare matrimoni. I nomi dei battezzati e dei morti dovevano però essere trasmessi tempestivamente all'ufficio di Castello per le debite registrazioni. In Stramentizzo si tenevano anche le sacre funzioni nei giorni festivi, ma non quelle della Settimana Santa, poichè il beneficiato era tenuto ad intervenire alle solennità in Castello. Dal 22 novembre 1943 Stramentizzo fu smembrato dalla parrocchia di Castello e aggregato a quella di Molina.
Queste due stazioni avevano assunto man mano una loro indipendenza motivata soprattutto dalla loro distanza dalla chiesa curaziale (S. Lugano 60-75 min.; Stramentizzo 45-60 min.).
Anche Molina dal 15 maggio 1855 fu soggetta alla curazia di Castello. La primissaria curata distava pochi minuti da Castello (20-30 min.) e questa sua relativa vicinanza non permetteva le richieste di indipendenza che invece agli altri due paesi erano state riconosciute. Nel 1865 (10) Molina manifestò il bisogno di più larghe concessioni, ma fu ribadito al primissario che egli non solo doveva considerarsi cooperatore di Castello, e quindi dipendente da quel curato, ma che inoltre, ottenendo la congrua come terzo sacerdote da quel Comune, avrebbe rischiato di perderla. Il 17 novembre 1920 Molina fu elevata a parrocchia.
Nel 1900 Castello ottenne dall'autorità politica il riconoscimento di cura d'anime indipendente, riconoscimento che permetteva la concorrenza del Fondo di religione al mantenimento del curato. L'obbligo di completare la congrua fissata per legge pesava comunque sempre sul comune di Castello che deteneva il diritto di patronato. Con istanza del 22 maggio 1904 i capifamiglia inoltrarono all'Ordinariato la richiesta di erigere la cura di Castello in parrocchia, che al tempo contava 1069 anime. In quell'occasione i capifamiglia espressero la rinuncia del diritto di nomina del proprio curato trasferendolo al vescovo. L'Ordinariato e l'arciprete espressero parere favorevole alla richiesta, ma il comune di Castello (11) e Stramentizzo protestarono formalmente contro la progettata erezione, mentre la frazione di S. Lugano dichiarò il suo disinteresse poiché non si riteneva dipendente da Castello. Il Comune per parte sua era contrario alla cessione al vescovo del diritto di nomina del curato e nel contempo rifiutava l'obbligo di sostenere gli oneri di patronato che gli imponeva l'Ordinariato a fronte dell'erezione. Le pratiche furono quindi bloccate. L'arciprete Luigi Bolner nel 1907 reinterpellò l'Ordinariato invitandolo a riprendere e considerare la pratica di Castello in ragione anche del fatto che era ormai prassi che le curazie indipendenti venissero elevate a parrocchia (12). La risposta però ribadì il fatto che, viste le immutate circostanze, non si intendeva riaprire la pratica di Castello. Nel febbraio del 1919 l'arciprete di Cavalese don Camillo Corradini scrivendo alla rappresentanza comunale invitava a prendere la deliberazione di rinunciare al diritto di nomina del proprio sacerdote a favore dell'Ordinariato, mantenendo però invariati gli oneri di patronato. In questo modo si sarebbero attuate le disposizioni del nuovo Codice di diritto canonico in base alle quali un curato indipendente è un vero parroco (13).
Finalmente l'11 giugno 1919 la curazia di S. Giorgio in Castello di Fiemme fu eretta in parrocchia.
Elenco dei curati e dei parroci di Castello di Fiemme:
1616- Giovanni Battista Guglielmi
1639- Marino Marinelli
1656-1659 Rubino de Rubini
1659-1669 Giorgio Guadagnini
1669-1706 Giovanni Martino Solai (?)
1706-1719 Giacinto Zorzi da Ziano
1719-1720 Giacomo Lazzeri da Capriana
1720-1757 Giovanni Leonardo Bonelli
1757-1763 - vacanza -
1763-1770 Giacomo Villotti
1770-1771 Antonio Eusebio de Romediis
1771-1791 Giorgio Callegari
1792-1799 Simone Santuari
1799-1803 Giuseppe Scopoli
1803-1838 Giovanni Battista Monsorno
1838-1846 Giuseppe Degiampietro
1847-1874 Domenico Iellici
1875-1884 Andrea Giacomelli da Predazzo
1884-1904 Giovanni Battista Bonelli da Carano
1904 lug.-set. Giovanni Gilmozzi
1905-1913 Pietro Chiocchetti
1914-1944 Carlo Giuseppe Fidelangelo da Ziano
1944-1968 Simone Vadagnini
1968-1977 Silvio Dellandrea
1977-1995 Carlo Gilmozzi da Tesero
1995- Valentino Chiocchetti da Moena
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