Eugenetica: tra scienza e politica

Conference

Seminario di Francesco Cassata, Università di Torino, autore del libro "Molti sani e forti. L'eugenetica in Italia" (Bollati Boringhieri, 2006).
Discute: Umberto Izzo, Università di Trento, Facoltà di Giurisprudenza

Ingresso libero fino a esaurimento posti.
A studenti, dottorandi e docenti delle scuole sarà rilasciato su richiesta un attestato di partecipazione

Il termine eugenics viene coniato nel 1883 da Francis Galton per connotare la versione moderna di un sogno “antropotecnico” risalente quanto meno alla Città del Sole di Tommaso Campanella: migliorare biologicamente la specie umana ostacolando la riproduzione degli “inadatti” (eugenica negativa) e favorendo invece quella dei “migliori” (eugenica positiva).
Sul piano della definizione concettuale, lo storico Daniel Kevles ha distinto tre varianti di eugenica: la mainline eugenics, caratterizzata da una politica statale coercitiva (ad esempio, le sterilizzazioni attuate in USA, Svezia, Germania), da un marcato pregiudizio di classe e di razza e dall’impiego della metodologia scientificamente infondata dei pedigrees; la reform eugenics – inaugurata a partire dagli anni trenta, da scienziati di sinistra come Hogben, Haldane, Penrose - critica nei confronti del pregiudizio razzista o classista della mainline eugenics, basata su più raffinati strumenti matematici e genetici, ma pur sempre legata ad un progetto politico di miglioramento della specie umana; la new eugenics, affermatasi nel secondo dopoguerra e contraddistinta dal rifiuto dell’intervento pubblico in materia di riproduzione umana e dal riconoscimento dell’autonomia riproduttiva dell’individuo all’interno del rapporto medico-paziente.
A lungo considerata esclusivamente nella sua versione anglo-americana o tedesco-scandinava, l’eugenica è ormai concepita e studiata dagli storici come un fenomeno culturale, sociale e politico di ampia portata internazionale. Non un movimento omogeneo, in sostanza, ma un arcipelago multiforme, caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di national styles: accanto all’eugenica “nordica” – contraddistinta da birth control, certificato prematrimoniale obbligatorio e sterilizzazioni – vi è, infatti, un’eugenica “latina”, improntata su misure igieniste e pronataliste e diffusa in paesi cattolici come l’Italia, la Francia, il Belgio e diversi stati dell’America centro-meridionale. Eugenisti non erano soltanto i “mendeliani” come Charles Davenport, ma anche i “neo-lamarckiani”, come Adolphe Pinard ed Eugène Apert. Eugenisti non erano soltanto “pseudo-scienziati”, come Henry Goddard, ma anche grandi nomi della storia della biologia, come Fisher, Muller, Haldane. Ed eugenisti si dichiaravano non soltanto i reazionari antisemiti, razzisti, sessisti, classisti, ecc., ma anche i sostenitori del controllo delle nascite, dell’aborto, dell’amore libero, dell’eguaglianza fra gli individui, dell’emancipazione del proletariato: dalle prime femministe ai socialdemocratici tedeschi e svedesi, dai fabiani britannici ai bolscevichi russi, fino ai comunisti francesi del Fronte Popolare. Una storia plurale e complessa, dunque, che contrasta fortemente con gli strumentali usi attuali della parola eugenica, incentrati per lo più sull’“analogia nazificante”, in base alla quale la diagnosi prenatale o la diagnosi preimpianto non sarebbero che il primo passo verso un nuovo sterminio degli individui “difettosi”.

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