Economia e felicità

Convegno

Interverranno:
Luigino Bruni (Università di Milano Bicocca)
Pier Luigi Porta (Università di Milano Bicocca)
Stefano Bartolini (Università di Siena)

Moderatore: Maurizio Pugno (Dipartimento di Economia – Università di Trento)

La felicità non è un bene come gli altri, non si produce in fabbrica, non si compra al mercato, non può essere tassata. Allora perché se ne occupano gli economisti? Perché la questione della felicità (“cosa ci rende felici?”), che era liquidata fino a qualche anno fa come elusiva, incontra oggi l’interesse di diversi noti economisti tra cui un premio Nobel?
Il motivo può essere fatto risalire ad un fatto macroeconomico preoccupante che è stato rilevato in diversi paesi europei, in USA e in Giappone: vale a dire che la crescita del reddito procapite negli ultimi decenni non si è accompagnata ad un aumento della felicità (o del benessere percepito). Il nostro modello di sviluppo, dunque, dopo una fase in cui benessere economico e felicità erano cresciuti insieme, sembra andare incontro a gravi problemi. Infatti, un mondo di insoddisfatti tende ad essere gravato da enormi costi economici e sociali, oltreché psicologici, perché tende a produrre disadattamento, emarginazione, stress e disagi mentali.
Questa incapacità delle economie avanzate di produrre aumenti di felicità ha richiamato così l’attenzione di diversi economisti, i quali hanno cominciato a cercarne le cause sottostanti. In particolare, si sono chiesti se la causa risieda nella incapacità delle persone di fare le scelte giuste, oppure in qualche caratteristica strutturale dei sistemi economici di mercato.
Nonostante la ricerca sia ancora molto aperta, alcune spiegazioni sono state già proposte. La spiegazione prevalente riguarda un meccanismo psicologico diffuso, quello di alzare le aspettative sul benessere materiale futuro man mano che aumenta quello corrente. In altre parole, la soddisfazione di guadagnare un reddito più alto svanirebbe velocemente, mentre il confronto con gli altri accenderebbe nuove aspettative.
Una seconda spiegazione sta trovando crescenti consensi. Il mancato aumento della felicità per la maggioranza delle persone è dovuta al fatto che al crescente benessere materiale ha corrisposto un deterioramento delle relazioni sociali e dei rapporti interpersonali più stretti. A sua volta questo effetto potrebbe essere dovuto ad un malfunzionamento del meccanismo del sistema economico, che per produrre beni materiali logora le relazioni umane, oppure alla trappola psicologica di attribuire ai beni materiali una capacità di procurare benessere maggiore perché immediata.
Queste spiegazioni, tuttavia, sollevano nuove e delicate questioni. E’ possibile intervenire per correggere il malfunzionamento del sistema? E’ possibile influenzare le scelte delle persone in modo politically correct?
M. Pugno

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