Muyeye
Sulla terra rossa di Muyeye, in Kenia, si sono incontrati due mondi: i bianchi "matti" e i neri poveri. Entrambi emarginati: gli uni a causa della malattia mentale, gli altri perché tagliati fuori dalle risorse. Li ha uniti il sogno di costruire qui tra la polvere una scuola professionale, simbolo di riscatto e di futuro. E' questo il messaggio iniziale del film documentario, prodotto da Kuraj film insieme a Format, il Centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento, sequel ideale di "Oceano dentro", verrà proiettato in anteprima nazionale a Trento giovedì 7 ottobre, ad ore 21 presso la sala della Cooperazione di via Segantini, nel corso di una serata presentata da Lorenzo Hendel, regista e curatore del programma Doc 3 di Rai Tre.
Muyeye
Una sana follia africana
Regia: Juliane R Biasi e Sergio Damiani
Produzione: Kuraj film, Format-Centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento
Montaggio: Juliane R Biasi
Fotografia: Sergio Damiani
Audio mix: Andrea Cristofori
Musica originale: Roberto Mariani, Pier Gianni Burreddu
Genere: documentario
Formato: HD 16/9
Durata: 62
SINOSSI
Muyeye è un villaggio polveroso sulla costa del Kenya. In una capanna di fango vive la famiglia di Nebat Jumba che si mantiene spaccando sassi. Un giorno a Muyeye arrivano dei bianchi, eccentrici ma diversi dai soliti turisti. Sotto il vecchio baobab i nuovi venuti raccontano storie di malattia mentale, ma promettono anche di costruire una scuola professionale gratuita e aperta a tutti. E' il germoglio di un'amicizia che legherà due mondi distanti, eppure accomunati dall'essere esclusi: i bianchi "matti" marchiati dal pregiudizio, i neri tagliati fuori dalle risorse e dal futuro. Ma Nebat ha un motivo in più che lo lega ai nuovi amici: Riziki, la sua seconda moglie e madre dei suoi quattro figli, è tornata al villaggio dei genitori perché considerata pazza. Un documentario sulla follia e sull'Africa che dimostra come anche i "matti" possano cambiare il mondo.
NOTE DI REGIA/Juliane R. Biasi
Fin dallinizio del mio coinvolgimento come documentarista nel progetto di costruire una scuola a Muyeye ho sentito che il mio compito non era soltanto raccontare e celebrare lo sviluppo di un progetto di cooperazione, ma soprattutto documentare gli eventi umani conseguenti allincontro di due mondi lontani e diversi, i matti italiani e gli africani nella loro dimensione.
Quando sono arrivata in Kenia non avevo un preciso schema narrativo nella testa, ma avevo il cuore aperto nell' osservare e ascoltare quello che la vita mi portava.
La vita mi ha portato a conoscere la gente di Muyeye, Nebat, Kahaso, Riziki, Alex e Luca. Poi c'erano Fabio, Marco, Ketti, Gianna, Valeria e tutti gli altri che ruotano attorno al mondo della salute mentale e che in Africa erano venuti appunto a realizzare una scuola professionale.
Nel corso del tempo che ho trascorso a Muyeye il documentario, che qui vi raccontiamo, si è sviluppato davanti ai miei occhi (e alla telecamera di Sergio) in modo naturale, a volte anche imprevisto. Ho cercato di favorire alcune situazioni o alcuni incontri, poi il gioco prendeva una sua autonomia, come in un grande "domino" spontaneo, e allora le persone si cercavano, avevano voglia di incontrarsi, di conoscersi mentre tutto si intrecciava con la mia verità emotiva. Alla fine, nel montaggio, ho dato forma all'amalgama narrativo cercando di creare una poesia di eventi e di emozioni.
Ecco, per me fare documentari significa tutto questo.
NOTE DI REGIA/Sergio Damiani
Nei documentari come nella vita ci vuole anche fortuna. Durante la produzione di Muyeye la fortuna arrivò inaspettata quando incontrammo Nebat Jumba e la sua famiglia. Senza di loro il film sarebbe affondato in un marasma di storie diverse dal mondo della malattia mentale. DallItalia arrivavano nel villaggio gruppi sempre nuovi di utenti, familiari e sanitari. La staffetta dei matti era una vera disgrazia da un punto di vista narrativo. Rischiavamo di mettere insieme solo un mosaico di personaggi, storie forti ma slegate tra loro. Nebat era incuriosito dalla nuova scuola che cresceva a Muyeye: aveva capito che era il futuro dei suoi figli. Ma cera anche un altro motivo che spingeva quelluomo verso i nuovi venuti: Riziki, la sua seconda moglie e madre dei suoi quattro figli, è malata di mente.
La storia di Nebat ha legato i frammenti di questo film dando un senso compiuto al documentario. Lui ci ha accolto nella sua capanna, ci ha offerto il suo cibo, ci ha presentato senza pudori la malattia di Riziki. Tra le tante scene emozionanti, forse quella più sorprendente labbiamo vissuta in cava. In quella buca bestiale, dove Nebat e un gruppo di donne spaccano sassi, ho sfiorato la magia dellAfrica. Una lavorante ha iniziato a cantare. Poi unaltra. E unaltra ancora. Qualcuno batteva il tempo con un barattolo. In un attimo linferno è diventato un luogo traboccante di vita. Là dove sembrava di cogliere solo immagini di rassegnata disperazione, cera invece intatta la forza di questa gente.
organizzazione: Format Centro Audiovisivi P.A.T.