A #Biblioè domenica 24 aprile 2016 incontro con l'autore di “Un popolo, due patrie”

alle ore 17.00 presso il Palazzo delle Albere, Trento

«Cent’anni e se ne parla ancora. Quella Guerra che fu definita “grande” e che papa Benedetto XIV (1917) bollò come “inutile strage”, dal 2014 è al centro di convegni di studio, rievocazioni, seminari e manifestazioni. Soprattutto in Trentino-Alto Adige e nella Venezia Giulia, dove la chiamata alle armi si avviò un anno prima rispetto all’Italia.

Di solito, la storia è scritta dai vincitori. In quella guerra i nostri nonni, mandati al fronte come vittime predestinate nell’estate del 1914, furono dalla parte dei vinti, invischiati e coinvolti, loro malgrado, in una “guerra tra parenti” quale fu il primo conflitto mondiale. […]

Quella sterminata carneficina si sarebbe potuta e dovuta evitare. Così non fu. Nelle Valli del Trentino, quando arrivò l’ordine della mobilitazione generale, i nostri nonni dovettero lasciare la zappa nel campo, la falce sul prato, la vacca nella stalla, la famiglia in lacrime. Non ne capivano la ragione ma furono costretti a obbedire.

Di sessantamila chiamati alle armi per difendere gli interessi della corona di Vienna, quasi dodicimila finirono sepolti nei cimiteri improvvisati della Polonia e dell’Ucraina, in Galizia. “Italiani sbagliati” ai quali, per decenni, fu negato dall’Italia perfino l’onore della memoria. Erano morti da “nemici” anche se figli di una terra che si voleva a tutti i costi “redenta”.

Per contro, ai poco meno di mille che, allo scoppio delle ostilità, passati dall’altra parte, si arruolarono come volontari con la divisa dell’Esercito italiano, fu riservato un posto d’onore nei libri di storia e furono alzati monumenti celebrativi a quegli “irredenti” morti da Italiani, pertanto da eroi. […]

Fu chiamata “Grande”, ma solo perché coloro che la subirono o furono costretti a combatterla videro il sangue correre a fiumi e crescere accanto sterminate foreste di croci. Chiamato alle armi con un avviso dal pulpito o dalla cartolina-precetto, nell’estate del 1914 un popolo di contadini-soldati si ammassò sui fronti degli Imperi centrali. Partirono che erano giovani. Coloro ai quali la sorte risparmiò la vita tornarono a casa già vecchi. Dopo quattro anni di guerra, i Trentini si ritrovarono cittadini italiani. Ma a che prezzo…» [A. Folgheraiter, Un popolo e due patrie, Curcu e Genovese, Trento 2015].

Hanno scritto su Un popolo, due patrie:

«Quella di Folgheraiter non è una rilettura austriacante e men che meno antitaliana. E’ il racconto - con tratti di commozione e di epicità, seppur tragica - fatto da chi, prima di tutto, vuole bene alla sua terra. In questo senso Folgheraiter aggiunge un altro tassello alla sua personalissima rivisitazione della storia e delle storie del Trentino.» Carlo Martinelli, “Trentino”, 9 giugno 2015

«Nel libro di Folgheraiter si legge l'epopea di un popolo, quello Trentino, spaccato e dilaniato da uno dei più terribili conflitti della storia. Al suo interno si leggono le contraddizioni di quella che al tempo era la porta dell'Austria su l'Italia.» Andrea Casna, «Il Fatto 24Ore.it», 29 giugno 2015

Alberto Folgheraiter, giornalista, storico e scrittore, ha lavorato a "Vita trentina" dal 1971 al 1979, e alla RAI dal 1979 al 2010. La sua attività di saggista si concentra prevalentemente sulla storia del trentino e delle sue tradizioni. Tra le sue pubblicazioni: Oltre la soglia del tempo (Curcu e Genovese, 2009), I villaggi dai camini spenti (Curcu e Genovese, 2013), I villaggi dai rami di rovo (Curcu eGenovese, 2015).   

redazione

19/04/2016