Antichi abitanti delle Alpi. Un saggio pionieristico di Pia Laviosa Zambotti

La definizione etnica del popolamento dell’arco alpino centro-orientale durante la seconda età del Ferro: i Reti erano Celti o Etruschi?

Lunedì 12 febbraio alle 20.30 a Cles presso Sala Borghesi Bertolla, l'archeologa Rosa Roncador interverrà sul tema "Antichi abitanti delle Alpi. Un saggio pionieristico di Pia Laviosa Zambotti".

La stessa Roncador ci offre queste anticipazioni sull'incontro:

"Durante il secolo corso studiosi e appassionati locali si sono posti più volte la problematica della definizione etnica del popolamento dell’arco alpino centro-orientale durante la seconda età del Ferro.

I Reti erano Celti o Etruschi? - si interroga -

L’archeologia ha svelato che i Reti, che possiamo riconoscere nella cultura materiale Fritzens-Sanzeno, erano delle popolazioni autoctone, stanziate nel territorio alpino centro-orientale e in dinamico e continuo contatto con i popoli vicini.

Anche Pia Laviosa Zambotti si dovette confrontare con questo spinoso tema e particolarmente significativo è il suo scritto intitolato “Problema culturale e problema etnico nella preistoria Atesina”. In questo studio l’archeologa di Fondo affronta la complessa questione dell’interpretazione etnica della cultura archeologica del territorio alpino centro-orientale, sottolineando, fin dalle prime righe, che si tratta “di un problema complesso […] per chi si accinga ad affrontarlo con serietà cosciente, senza abbandonarsi all’improvvisazione, o alle facili generalizzazioni”.

La studiosa trentina cita Gustaf Kossinna e il suo paradigma cultura-ethnos sottolineando la pericolosità e l’arbitrarietà, soprattutto degli sviluppi successivi. Propone dunque di distinguere chiaramente tra quella che lei definisce “l’archeologia preistorica”, che permette delle attribuzioni a “orizzonti di civiltà” che oggi potremmo definire “culture materiali”, e la paletnologia cioè “quel ramo della scienza preistorica grazie al quale i reperti di scavo sono esaminati con l’intento specifico di riconoscere l’attribuzione a questo piuttosto che a quel popolo”. Nel saggio la studiosa si pone come obiettivo di esaminare il potenziale informativo del materiale archeologico, che integrato con i risultati ottenuti dall’analisi linguistica, antropologica, etnografica e quando possibile storiografica, contribuisce alla ricostruzione della storia di un popolo.

La presenza di una particolare cultura materiale può, in alcuni casi e con le dovute cautele, essere ricondotta a fenomeni migratori oppure grandi cambiamenti possono, a detta dell’autrice, essere introdotti da gruppi di persone o addirittura da singoli individui. Un ulteriore e potente mezzo di diffusione di mode, consuetudini di vita e forme di cultura, è quello del prestigio e dell’imitazione. Elementi nuovi, diversi rispetto alla tradizione attestata possono talvolta “essersi imposti senza alcun intervento di individui, ma soltanto per capacità espansiva dell’oggetto […]”. Pia Laviosa Zambotti scrive “Non si può nutrire dubbi dunque che, mutatis mutandis, fenomeni di diffusione del genere, avveratisi senza l’intervento di migrazioni, ma soltanto per l’azione di contingenze svariate o di accidentalità imponderabili, legate alla volontà di uno o di pochi individui, dovettero ripetersi infinite volte anche nella preistoria e specialmente nella preistoria mediterranea”. Una certa importanza doveva inoltre essere rivestita, all’interno delle dinamiche di diffusione di una cultura materiale, dal fenomeno dell’intermarriage.

Importanti sono inoltre quei fenomeni che Pia Laviosa Zambotti definisce “reazioni opposte dal sostrato” vale a dire le modalità di risposta della cultura nella quale si innestano, indipendentemente dalle modalità, elementi nuovi provenienti da altri ambiti culturali: l’arrivo di nuove genti, di nuove mode, di nuove concezioni religiose (solo per fare alcuni esempi) altera in modo permanente il quadro culturale originario.

Significativa è la distinzione tra una penetrazione pacifica che porta ad un vero e proprio “ […] processo di amalgamazione della cultura indigena con quella importata e quindi un pittoresco succedersi di contaminazioni tipologiche”, e una penetrazione “violenta” che può generare la sopraffazione della cultura assoggettata o la sua reazione (nel caso di cultura di più alto livello) con conseguente assorbimento degli elementi alloctoni.

L’analisi del dato archeologico sembrerebbe essere però talvolta insufficiente per la comprensione dell’etnogenesi di alcune popolazioni: per l’Alto Adige, ad esempio, risulta chiara la continuità, “lapersistenza”, di aspetti culturali definitisi durante l’età del Bronzo. Difficile è dunque distinguere gli apporti di vere e proprie migrazioni da quelli derivati da contatti commerciali: “ Dalla nostra disamina risulta dunque che, se il dato culturale può servire da elemento attivo nella interpretazione e delucidazione del problema etnico, esso è lungi dall’apparire in ogni caso decisivo, e perde di efficienza tanto più, quanto più risulta complesso il carattere della cultura esaminata. In questo caso, quando non sia possibile l’esame specifico dei fatti che hanno portato alla commistione della cultura – invasione etnica o lenta compenetrazione culturale – il dato culturale è impotente da solo a risolvere quello etnografico”.

Questo scritto rappresenta un contributo pionieristico, per l’epoca in cui fu scritto, e coraggioso, poiché non condivideva completamente le teorie migrazionistiche ma analizzava con lucidità, precisione e grande onestà intellettuale tutti gli elementi al fine di poter spiegare quanto emergeva dall’analisi del dato archeologico, del dato materiale".


08/02/2018