Bisogna spegnere l’eccesso / prima ancora che l’incendio

Dal verso di Bertolt Brecht la mostra del Mart per il Centenario della Grande Guerra La guerra che verrà non è la prima 1914- 1918. 

[ Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma]

È così, come dice Eraclito, bisogna spegnere l’eccesso prima ancora che l’incendio.

È terribile ma la guerra inebria (e fa passare anche la sbornia), somministra obiettivi, motivazioni e soluzioni, prima ancora che sofferenza e dolore: la guerra seduce e “mette a nudo, il potenziale di malvagità che si annida appena sotto la superficie in ciascuno di noi”.

La sua forza di attrazione non viene meno neppure dopo averne sperimentato gli orrori, vissuto e patito l’illimitato potere distruttivo, la perversione e le conseguenze devastanti del collasso di qualsiasi universo o costellazione morale.

La guerra è irrappresentabile e intraducibile perché incomprensibile.

La raffigurazione di quell’orrore può per noi significare solo un cambio di prospettiva e una messa in scacco di questa strada a senso unico. Per questa ragione il racconto proposto da La guerra che verrà non è la prima 1914- 1918, visitabile al Mart di Rovereto fino al 20 settembre 2015, provando a sbriciolare confini convenzionali e retorici, prende le distanze senza omissioni.

La guerra ammutolisce e dunque il nostro può essere solo un balbettare lacunoso e impacciato che sceglie il sentiero più lungo e sta su un piano in apparenza sconnesso e friabile. Pieno di fenditure, però, da cui abbiamo fatto filtrare luce, fiducia e speranza, toccando le emozioni, senza chiamarle costantemente in causa perché tutto è già di per sé groppo alla gola, lacrime agli occhi.

Non abbiamo messo in campo un tragitto senza fine e senza speranza. Nonostante il titolo, preso in prestito dal poeta, ne abbiamo fatto un viaggio al termine della notte. Con il soccorso della poesia, abbiamo preso la parola.

Abbiamo fatto attenzione a non raccontare la guerra “in nome della pace”, secondo una retorica ipocrita, non l’abbiamo “messa in cornice” come un’opera d’arte.

La questione dunque è ancora come abitare la terra che non sembrava avere bisogno del sangue di Abele, abitarla senza la guerra che è circolare e va dal dominio infinito dell’altro all’infinito dominio di sé, dall’omicidio al suicidio. Aleggia l’angelo di Klee ma noi ne vediamo finalmente solo le spalle e la nuca, avanti a noi guarda all’orizzonte nell’aperto. La sua sagoma ad ogni angolo della strada e di questa mostra.

Cristiana Collu - Direttrice del Mart

01/12/2014