Buon Viaggio Aurelio!

Ci ha lasciato un regista innovatore, creativo, avvincente

Aurelio Laino - Un registra a Londra

Aurelio Laino è nato a Salerno ma è giunto da piccolo a Trento, dove si è dapprima laureato in Ingegneria (1998).

In quel periodo era comunque diviso tra la passione per la batteria, che perdura, e un amore altrettanto forte per il teatro, portato avanti grazie anche alle collaborazioni col teatro Santa Chiara. Oggi è invece un regista che abita ormai da qualche anno a Londra.

Tra la fine degli anni '90 e i primi duemila, il teatro a Trento vive una stagione particolarmente fiorente, con un boom di nascite di compagnie teatrali e di creatività, costruito intorno all'università. Le compagnie continuavano a realizzare spettacoli e andavano a vedere quelli degli altri; “c'erano ovviamente rivalità, ma era un momento davvero esaltante”. Durante gli anni di collaborazione col Santa Chiara, l'allora direttore gli consiglia di uscire dal Trentino: “puoi rimanere in Trentino e sopravvivere oppure provare a fare il passo successivo, e il Trentino è troppo piccolo. È un’ottima palestra, ma se poi vuoi provare a giocare su un livello più alto, devi andare via.”

È il 2006, e Aurelio decide di rischiare e va a studiare Sceneggiatura e scrittura per televisione allo I.E.D. Di Roma. Con la Città eterna avrà un rapporto di amore e odio, ormai ha capito che “dopo qualche giorno devo andarmene”.

Seguono la creazione della casa di produzione Decimarosa, e le molte collaborazioni col Trentino in diversi ambiti.

Nel 2010 vince un posto alla London Film Academy, dove studia per un anno regia con altri quattro compagni da tutto il mondo: “Londra è una città meravigliosamente cosmopolita. C’erano un russo, un’ucraina, uno svedese, un singaporiano e io”. “Non ho potuto esimermi! È stato un corso esaltante e a tempo pieno, con grandi registi che venivano a farci lezione . C’erano settimane in cui a turno si faceva il regista per un giorno e c’era un grande regista che veniva a farci da tutor, come per esempio Asif Kapadia (che ha vinto, nel 2016, l'Oscar con Amy).

A Trento e in Italia in generale, a parte il Centro sperimentale di Roma, non avrebbe trovato le stesse possibilità: “l'approccio anglosassone è molto pratico e poco teorico, è stato letteralmente un anno con la camera in mano. C’erano giorni in cui venivano gli attori e si lavorava e basta, imparando a fare regia sul campo”. Si gira anche in pellicola, per imparare la disciplina e a pensare prima di fare, sovvertendo uno dei diktat del digitale (“prima facciamo e poi vediamo”).

Fare il regista è un lavoro che si impara sul campo e con esperienza, non sui libri. La regia è strategia di relazione con persone, come organizzare le cose in modo da avere il miglior risultato possibile.

Dopo un paio di anni a Trento, decide di tornare a Londra perché ormai la maggior parte dei suoi contatti di lavoro erano lì e perché a Trento sarebbe potuto arrivare solo fino a un certo punto. Fonda così la Freeside films.

La concorrenza, che potrebbe anche spaventare in un primo momento, può essere vista, al contrario, come una maggiore varietà di opportunità e dunque più mercato. A Londra, continua Aurelio, c’è molta meritocrazia, che però ha due facce: da parte, se si è bravi, si possono raggiungere i risultati sperati, ma dall'altra è una corsa, ed è una corsa stressante. È più facile a Trento essendoci meno possibilità e quindi meno concorrenza, è sicuramente più facile riuscire a barcamenarsi.

IN TRENTINO

Il sistema Trentino è percepito come un sistema che compra, ma non che vende: tende ad attirare e a comprare gli spettacoli che vengono da fuori, e non quelli realizzati dalle produzioni e dalle compagnie regionali, nonostante la creatività che c’è.

Purtroppo il Trentino - ma la Provincia in generale - ha un problema di sottostima delle proprie capacità: o c’è una grande istituzione provinciale che domina oppure compra dall'esterno. “Mi sono confrontato con molti che lavorano qui, ed è una sensazione purtroppo molto diffusa. Chi si occupa di produzione audiovisiva a Trento in questo momento si sente tagliato fuori. ”.

La Trentino Film Commission ha fatto comunque un grande lavoro nel cambiare l’approccio al finanziamento pubblico del cinema in Trentino.

Prima, quando non esisteva, produttori e aziende dovevano andare dai vari assessori e dirigenti per cercare di farsi finanziare; mentre la Trentino Film Commission ha riunito tutto questo e ha dato delle regole precise. Il suo problema, ma la colpa è della politica è il fatto che ancora una volta è molto attenta a comprare ma meno attenta a vendere.

Dunque arrivano le grandi produzioni di Roma che spendono tantissimo sul territorio, fanno muovere l’economia del territorio ma d’altra parte, a differenza di altre Film Commision di altri regioni, è meno attenta a chi produce localmente e quindi le regole sono tarate su grandi produzioni che possono permettersi di anticipare grandi quantità di soldi, mentre chi è piccolo non può permetterselo.

Questa politica non è molto lungimirante perché, in prospettiva, al territorio non lascia nulla e si corre il rischio di non creare le basi per un’effettiva competitività dei produttori trentini col mercato regionale ma anche italiano ed estero.

Sarebbe bello esistesse, come in altre regioni (per esempio l’Emilia-Romagna) o nel nord Europa (per esempio l’Estonia), un Fondo per lo Sviluppo dell’Audiovisivo: i produttori locali partecipano a questo bando per lo sviluppoe questo significa non il finanziamento di un film, bensì il finanziamento per lo sviluppo di un’idea e dunque per farla auspicabilmente diventare un film. Questo dà stabilità e sicurezza alla casa di produzione, che così può permettersi di lavorare all’idea. La cultura è anche uno dei modi migliori per farsi percepire dal resto del mondo.

Vivendo fuori dal Trentino, spiega Aurelio, appare molto evidente come l’intervento pubblico della Provincia sia la fortuna ma, al contempo, la croce di questa regione: lo schema dell’ente pubblico che si occupa completamente dei propri cittadini è molto bello, ma forse non è più attuabile e attuale nel mondo di oggi. 

Il rischio è che ci debba essere sempre un’istituzione che faccia da guida e che coordini, che decida cosa e come comunicare il Trentino fuori, ma questo frena la creatività. Sarebbe auspicabile poter trovare un compromesso, che magari vedesse la Provincia come garante e arbitro dei giochi, ma che poi lasciasse il gioco agli altri.

IN INGHILTERRA

In Inghilterra è più facile trovare dei fondi privati perché esiste l’EIS (Enterprise Investment Scheme), uno schema volto a tutelare i privati che investono in cultura e attività ad alto rischio. Lo Stato, entro certi limiti, assicura l’investimento e se l’esito non è quello sperato, lo Stato restituisce dopo tre anni una parte dei soldi perché riconosce che c’è un rischio, purché venga sviluppata cosa di interesse culturale.

Sempre a differenza dell’Italia, in Gran Bretagna i contributi sono automatici, infatti non c’è commissione che valuta o processo di selezione. Per fare domanda si deve compilare una tabella e autoassegnarsi un punteggio che determina la possibilità o meno di avere un rimborso del 25% rispetto a quanto si spenderà. Basterà infatti inviare le fatture per e-mail al British Council, che è l’istituzione competente. È molto interessante e differente perché si viene valutati solo da un punto di vista formale, non dei contenuti. “È l’estremo opposto, non c’è alcuna forma di coordinamento. Se tu sei capace di girarti un film e ti trovi il resto dei soldi, io Stato, per il solo fatto che stai girando un film, ti do una mano.”

Ci sono poi enti come il BFI (British Film Institute) che investono in film, ma in quel caso c’è ovviamente una commissione. Ancora una volta, è differente perché anziché versare un fosse un’azienda e si comportano come un investitore privato. Se sono interessati, possono anche investire l’intera somma, però poi si tengono tutti gli utili e guadagnano. “È un mondo molto diverso, quello della Gran Bretagna. C’è molto meno ente pubblico in generale. “

Una mentalità più privatista sarebbe una soluzione, in Italia, ma il problema è che non accadrà mai. Gli italiani sono cresciuti in un sistema che non funziona da un punto di vista economico, ma al quale siamo abituati.

Alla classica domanda se pensa mai di tornare, una risposta sicura: “Amo l’Inghilterra, più che Londra, quindi sarà ben difficile andarmene. Se mi devo vedere fra qualche anno, credo mi piacerebbe vivere nella campagna inglese, che è bellissima e lì si vive con poco. Anche quando ci sarà l’uscita dall'Europa l’anno prossimo, non credo che per me cambierà molto”.

https://www.altrovereporter.it/Opportunita/Lavorare-come/AURELIO-LAINO-UN-REGISTA-A-LONDRA

Aurelio ci ha lasciato il 28 novembre 2020

Lo ricordiamo in questa sua intervista 

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30/11/2020