Castello di Tenno

"Un panorama, tanto delicato, quanto dolce e grandioso, sulla valle
 di Riva"

[...] questo panorama, tanto delicato, quanto dolce e grandioso, sulla valle
 di Riva, che si estende un migliaio di piedi a picco sotto di noi, e più oltre sulle montagne di Riva e sulla stessa bianca cittadina col suo orlo d’acqua azzurra su cui si stagliano le torri e i merli degli spalti; e in primo piano la rocca eil castello di Tenno scuri sullo sfondo del lago. O vecchia, pittoresca, grigia Tenno! J. Henry, Thalia petasata..., 1859 (trad. ed. 2003)

Esiste un limite sensoriale che separa l’area ‘mediterranea’ del Garda da quella ‘alpina’ delle Giudicarie e lo si può trovare laddove gli odori dei boschi di aghifoglie sostituiscono quelli di limone e rosmarino. È lì, nella fascia in cui l’ulivo inizia lentamente a cedere al castagno, l’oleandro alla quercia, e la vite al larice, nella valle di Tenno, che una barriera, ben più forte di quella percettiva, si staglia da secoli a controllare la viabilità nord-occidentale gardesana. È il castello di Tenno, possente, sia nelle strutture sia nella soggezione che incute al viaggiatore, a stare a guardia della soglia meridionale delle Giudicarie Esteriori.

Le prime notizie documentarie del fortilizio risalgono al primo decennio del Duecento, quando era amministrato dai conti d’Ultimo e di Appiano-Ultimo, due linee familiari che si separarono attorno al 1167. È possibile ipotizzare che questo presidio facesse parte dell’eredità lasciata dall’ultimo avo in comune alle due schiatte, Ulrico I di Appiano, morto a ridosso della metà del XII secolo, ipotesi che permetterebbe di anticipare la datazione del castello (Landi 2011, p. 7). Comunque sia, tra il 1210 e il 1211 i proprietari cedettero le loro parti al vescovo, Federico Wanga († 1218), in cambio di alcuni feudi e di una rendita di olio, probabilmente prodotto nelle terre dell’alto Garda. Da quel momento il complesso divenne vescovile, ma fu soggetto alle variazioni di amministrazione che interessarono la giurisdizione di Tenno e che arricchirono di particolari aneddoti la storia di quelle mura.

Vista la posizione e gli interessi che i d’Arco avevano nelle Giudicarie, il presidio riscuoteva l’attenzione di questa famiglia, che ne ottenne la gestione nel 1260 come ricompensa per l’aiuto prestato al vescovo Egnone († 1273) in un periodo di turbolenza nel principato. Il suo successore, nonostante le diverse grane che lo angustiavano, decise di recuperare i territori che erano stati concessi a Odorico d’Arco. Divertente, agli occhi dei posteri, la storia che ne seguì: nel 1279 Enrico II († 1289) mandò come messi gli arcipreti di Arco, Riva e Bleggio a chiedere la restituzione del maniero. Il primo, conoscendo il carattere dell’interlocutore, trovò una scusa per non partecipare e fece bene, perché l’arciprete di Riva tornò a Trento raccontando che gli fu prospettata la decapitazione se avesse osato avanzare nuovamente tale richiesta. A quel punto il vescovo scomunicò «la pecora insensibile al pastorale» e la questione si risolse solo dopo lunghe traversie. Durante questa parentesi i d’Arco apportarono delle migliorie alle difese del castello che, nel 1284, passò nelle mani di Mainardo II e dei suoi figli e tornò al principato, a seguito di mutevoli vicende, nel 1314.

Trentacinque anni dopo il castello fu venduto a Mastino della Scala, che lo fece amministrare sempre ai d’Arco, in qualità di capitani. In questo periodo sono documentati altri lavori di restauro e ampliamento da parte veronese. Nel 1387 gli scaligeri furono estromessi dall’alto Garda e Tenno passò con varie alternanze dai Visconti, al vescovo di Trento, ai veneziani. Fu in uno di questi continui cambi di fronte che il castello balzò all’onore delle cronache del tempo. Niccolò Piccinino († 1444), capitano di ventura al servizio del Ducato di Milano, fu sconfitto in uno scontro da Francesco Sforza († 1466) e costretto a ritirarsi all’interno del presidio di Tenno, che venne subito preso d’assedio. Il Piccinino mise quindi in atto uno stratagemma, così bizzarro da essere descritto da Machiavelli (Istorie Fiorentine V, 23). Il condottiero «per fuggire uno certo pericolo, ne tentò uno dubbio» e nascostosi in un sacco si fece trasportare attraverso il campo nemico da un suo servitore. In una medaglia delle collezioni del Castello del Buonconsiglio, realizzata da Pisanello intorno al 1441, è effigiato sul diritto il profilo del Piccinino e sul rovescio un grifone, simbolo di coraggio e vigilanza (C. Tozzi, in Camerlengo, de Gramatica 2003, pp. 188-189). Qualità che in quell’occasione furono salvifiche: se la prima fu necessaria al condottiero per ideare lo stratagemma, la mancanza della seconda – tra i suoi nemici – gli garantì la fuga.

Il castello e la giurisdizione tornarono definitivamente al principato nel 1460, ma la fine dei passaggi di proprietà non coincise con un periodo di pace. La fortezza, che era una base vitale per il controllo dello scacchiere del Trentino meridionale, suscitò l’interesse di Parisio e Pietro Lodron, che tentarono di sottrarlo con l’inganno al capitano vescovile, grazie all’aiuto di alcuni abitanti del posto che avrebbero fatto penetrare all’interno del borgo murato di Frapporta – adiacente al castello – uomini dei Lodron. La congiura finì male e ancora peggio i congiurati: Giovanni Zucherio, che avrebbe favorito l’infiltrazione degli armati, fu condannato allo squartamento e il suo cadavere esposto alle
porte dell’abitato.

Dopo questo episodio il vescovo Hinderbach († 1486) dotò il presidio di nuove artiglierie e diede inizio a dei lavori di restauro, che sono ricordati da un’epigrafe posta nel cortile. In quell’occasione rinnovò alcune parti del castello dalle fondamenta: furono aggiunti un loggiato, una cucina, delle stanze di servizio e delle camere. Su questa lapide si legge anche il motto che verrà parzialmente adottato in seguito dalla comunità: «Tenno tieni forte, così resistendo ti rafforzerai e con grande onore sosterrai invitto il tuo nome, rimanendo fedele alla Chiesa nei secoli, come fecero i tuoi padri e i tuoi antenati». Effettivamente, negli anni seguenti, il castello di Tenno si conservò tra le proprietà vescovili e solo nel XIX secolo fu acquistato da privati (sul castello: M. Dalba, in Apsat 4 2013, pp. 449-456). Il presidio sorge ancora saldo sulla rupe e le sue strutture sono testimonianza di continui lavori di potenziamento: risaltano il forte palazzo, caratterizzato da una scarpatura e protetto da un antemurale, un’ala residenziale – visibile dal versante occidentale della valle –, una chiesa neogotica, costruita alla metà dell’Ottocento, e un basso giro di mura, che chiude lo sperone roccioso verso la piana di Riva del Garda. Il castello resta tuttavia orbato della sua peculiarità principale: l’alto mastio che troneggia nelle vedute romantiche e nelle cartoline di inizio Novecento è stato abbattuto a seguito delle lesioni subite durante gli eventi bellici della Prima guerra mondiale. Ma, a parte questo, si mantiene ancora fedele al destino tratteggiato dal vescovo Hinderbach al tramontare del XV secolo.

Proprietà privata, non visitabile

Il testo è tratto da: M. Dalba 2014Dal Castello di Stenico ai castelli delle Giudicarie. Itinerari d’arte e di storia, Trento, Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, 175 pp.

Bibliografia citata nel testo

Apsat 4 = E. Possenti, G. Gentilini, W. Landi, M. Cunaccia 2013 (a cura di), Castra, castelli e domus murate. Corpus dei siti fortificati trentini tra tardo antico e basso medioevo. Schede 1, Mantova.

L. Camerlengo, de Gramatica F. 2003 (a cura di), Gli incanti dell’arte. Dieci anni di acquisizioni al Castello del Buonconsiglio, catalogo della mostra (Trento, Vigo di Ton, Stenico, 27 settembre 2003 - 9 maggio 2004), Trento.

J. Henry 1859, Thalia petasata or A foot journey from Carlsruhe to Bassano, Dresden.

J. Henry 2003 (ed.), In viaggio con la Musa. Un viaggio a piedi da Karlsruhe a Bassano illustrato lungo il cammino, trad. a cura di F. Favaretti, Camposampiero, Venezia.

W. Landi 2011, I conti di Appiano, in W. Landi, H. Stampfer, T. Steppan, Castel d’Appiano. Complesso castellare e affreschi romanici della cappella, Bolzano, pp. 3-10.

Michele Dalba, Lia Camerlengo - rispettivamente autore del volume e responsabile del progetto

05/10/2015