Il fascino dell'impossibile

"Andare nei posti in cui si potrebbe morire per non morire è schizofrenico, essere sopravvissuti ci porta a un sentimento di rinascita"

Da un lato l’impossibile e il suo valore culturale, dall'altro il possibile. A fare da sfondo l'idea che se non difendiamo l'impossibile - perché la tecnologia è capace di distruggerlo - l'alpinismo se ne andrà per sempre.

All'insegna di questi fili conduttori, si è svolta ieri in un teatro Auditorium gremitissimo, la serata di apertura di Trento Film Festival. Ospite d'onore Reinhold Messner, istrione instancabile, affascinante nell'intrecciare storie e capace di mantenere viva l'attenzione del pubblico per un'ora e mezza filata. Solo la sua memoria - nessun foglio in mano - la sua voce, qualche immagine, a tratti un sottofondo musicale, ma soprattutto la sua personalità, il suo carisma, la sua autorevolezza unita alla capacità di ironia e di autoironia, sono stati gli ingredienti de Il fascino dell'impossibile, un incontro denso di contenuti e di emozioni.

La narrazione è partita con le immagini a tre dimensioni del Kailash, in Tibet, Asia Centrale. "La rilevazione è stata fatta dal satellite, attraverso sistemi moderni e ci restituisce le tre dimensioni - ha esordito Messner -  la quarta la mettiamo noi perché la montagna non è solo un fatto geologico: se non aggiungiamo la nostra emozione, entusiasmo e voglia di avvicinarci, non è nulla. Non conta quanto saliamo, conta il rispettare la forza della natura per capire la forza umana, per capire anche quello che c'è dentro di noi. L'uomo nel Tibet narra che questa montagna è uscita quasi come un fallo dall'oceano ed è così che si è formata la terra ferma, perché senza montagne ci sarebbe solo oceano. Ho aggirato più volte questa montagna e osservato la gente locale che viene a fare altrettanto: si mettono sdraiati sulla terra, si rialzano, si ributtano giù. Il Kailash è sacro per buddisti e induisti e per tutte le religioni di quella zona. Le persone giungono da lontano per vederlo e andarci attorno. L'alpinismo è un fatto culturale, anche perché vive dello story telling che in Europa portiamo avanti da 250 anni. Il Kailash è forse il simbolo più forte che abbiamo per far capire che l'uomo, dal suo inizio sulla Terra, ha dato importanza alle montagne sia per orientarsi sia per prendere misura tra noi, piccoli e pieni da paura, e la grande Natura che in sé ha una dimensione divina".

Messner ha poi portato l'attenzione sulle Alpi, dove "l'alpinismo nasce tardi perché era convinzione che lassù abitassero delle forze maligne, e l'aria fosse velenosa. Fino all'Illuminsimo nessuno saliva in montagna, tutto iniziò con l'esplosione della scienza e quindi con l'impulso alla conoscenza per vedere la geografia dall'alto. La prima salita del Bianco è del 1786, è qui che nasce l'alpinismo, che si chiama così proprio perché è nato nelle Alpi. Con l'ascesa, nel 1865, della parete sud, si origina un nuovo approccio alla montagna. La maggior parte delle cime oltre i quattromila sono già conquistate, quasi tutte da inglesi, loro sono i primi industriali, hanno i mezzi e il tempo libero per farlo. A quel punto, non è più la cima ad attirare ma la via per salire, che diventa punto chiave per dare la motivazione all'alpinista. La via diventa la meta. Nello stesso anno, il 1865, viene salito il Cervino che possiede tutti gli ingredienti per raccontare la montagna nei successivi 150 anni".

Messner, prendendo spunto anche dal motto cui è dedicato il suo ultimo museo di Plan de Corones, si chiede: "Dove inizia l'alpinismo se il turismo ha raggiunto ormai la via dell'Everest? Inizia dove incomincia l'impossibile, staccati dal mondo urbano, nelle zone più selvagge del mondo" - afferma. 

Lo sguardo di Messner si è soffermato poi sull'Annapurna, il primo ottomila raggiunto dall'uomo, mentre gli altri sono stati conquistati nei quindici anni successivi. Ha affermato di aver compiuto più di cento uscite fuori Europa e 31 sugli 8000.

"Quando ero giovane io, quasi tutto quello che sognavamo era ancora possibile, in futuro è necessario trovare delle sfide molto strane, trovare nuove sfide, ci vuole fantasia, creatività, voglia di fare. Chi non prende la decisione di fare, non può neppure fallire. Ora le sfide si chiamano difficoltà, pericolo, esposizione, più ci si trova fuori dal mondo civilizzato più si avverte la propria responsabilità.

Andare nei posti in cui si potrebbe morire per non morire è schizofrenico, essere sopravvissuti ci porta a un sentimento di rinascita, come avessimo riconquistato la nostra vita. E senza story telling non ci sarebbe alpinismo" - ha concluso.

A quel punto, un lungo scroscio di applausi ha salutato "la montagna Messner".


28/04/2017