"La Signorina Else" di Arthur Schnitzler e San Martino di Castrozza

La cittadina del Primiero zona “sicura” per gli ebrei prima della Grande Guerra e tra le due guerre 

La Signorina Else di Arthur Schnitzler, romanzo breve ambientato a San Martino di Castrozza, viene pubblicato nel 1924, quando l’Hotel Fratazza in cui si svolge la vicenda narrata, e la società Belle epoque che lo frequentava, sono già stati spazzati via dalla guerra.

Un racconto che copre lo spazio di alcune ore. Inizia sui campi da tennis di San Martino di Castrozza in una «serata meravigliosa» in cui «il Cimone svetta superbo» e si conclude poco dopo cena. È il 3 settembre, finito il caldo dell’estate l’aria si fa più frizzante, quando si mischia ai pensieri può diventare inebriante «come lo champagne».

Di fronte al Cimon della Pala, la giovane prova un’ambivalente sensazione di timore e fascino e, più volte durante il suo monologo, crea un punto d’incontro tra il suo stato d’animo e il mutare dell’aspetto delle montagne, che si fanno sempre più scure ed enormi con lo scendere della sera e poi della notte. «Inquietante, gigantesco il Cimone, come se volesse cascarmi addosso!» - commenta.

Agli inizi del Novecento, San Martino di Castrozza, già affermato centro turistico, diventa un luogo conosciuto e frequentato dalla buona società dell'Impero austro ungarico. Nascono strutture quali l’Hotel Dolomiti di cui Schnitzler fu più volte ospite, anche se sceglierà di ambientare la storia della Signorina Else nell’Hotel Fratazza, costruito nel 1908. Una struttura elegante e isolata, per questo forse più adatta a rappresentare la solitudine interiore di Else: «Così lontano, lontano è l’hotel e così fiabescamente illuminato» - così lo descrive, infatti, la ragazza - e poi ancora: «Com’è gigantesco l’hotel, come un enorme castello incantato illuminato».

Tra la ricca borghesia che frequentava San Martino di Castrozza, molto nutrita era la presenza di ebrei. A tal proposito, Giorgio Bassani nel Giardino dei Finzi Contini, inserisce un preciso accenno a San Martino quale luogo frequentato dalla clientela ebraica. Preoccupato per la salute dell’amico Alberto, il protagonista narratore gli propone: «E allora, visto che si tratta del caldo, perché non vai una quindicina di giorni in montagna?». «In montagna d’agosto? Per carità. E poi…» (qui sorrise), «…e poi, Juden sind dappertutto unerwünscht (indesiderati). Te ne sei scordato?». «Storie. A San Martino di Castrozza per esempio no. A San Martino ci si può ancora andare».

Anche in Atomi di famiglia, la biografia di Enrico Fermi scritta dalla moglie Laura, nel capitolo 10 novembre 1938, testimonia: «Per il nostro soggiorno estivo avevamo scelto per quell’anno San Martino di Castrozza, uno dei posti più incantevoli delle Dolomiti, situato in una conca sterminata, coperta di prati verdi smaglianti che si estendono a perdita d’occhio verso sud e sono protetti da un ampio arco di rocce maestose. Massicce alla base, queste si dividono verso l’alto in forme fantastiche, in torrioni, in guglie e in quelle pareti sottili, quasi senza spessore, che per essere caratteristiche del luogo vengon chiamate le Pale di San Martino». E, poco oltre: «Eravamo ancora a San Martino il 2 settembre, quando la radio annunciò le prime leggi razziali riguardanti gli ebrei italiani». 

Ma ritorniamo alla nostra Signorina Else, che come Schnitzler, è ebrea. Un elemento che però emerge solo da una lettura attenta del libro, nei rari ma fondamentali momenti in cui troviamo la giovane immersa in disincantate riflessioni che coinvolgono le sue origini ebraiche:  «Ha ancora un ottimo aspetto con la barba a pizzo brizzolata. Ma simpatico non lo è. Si tiene su artificiosamente. A che le serve il suo sarto di classe, signor von Dorsday? Dorsday! Una volta aveva certamente un altro nome».  E, in modo ancor più incisivo: «No, signor Dorsday, non credo alla sua eleganza, né al suo monocolo, né alla sua nobiltà. Per conto mio potrebbe commerciare in abiti usati altrettanto bene come in quadri antichi. Ma Else, Else, che ti salta in mente. – oh me lo posso permettere. Nessuno se ne accorge guardandomi. Sono anche bionda, d’un biondo fulvo, e Rudi ha assolutamente l’aspetto di un aristocratico. Mamma si tradisce naturalmente subito, almeno quando parla. Papà invece proprio per nulla. Poi del resto, se ne accorgano pure. Io non rinnego affatto la mia origine, e Rudi meno che mai».  

redazione

Arthur Schnitzler (Vienna, 1862 - 1931) nasce da famiglia ebraica. Si laurea in medicina e, in parallelo, coltiva la sua vocazione letteraria. Prima che Joyce del monologo interiore facesse la forma letteraria dell’Ulisse, Schnitzler lo aveva già introdotto nella Signorina Else (1924) che - insieme a Doppio sogno (1926) da cui Stanley Kubrick trasse il noto Eyes wide shut – rappresenta la sua opera di maggior successo. Anche Freud, che lo considerava un po' una specie di suo "doppio", si interessò all’opera di Schnitzler. Tra i due intellettuali, che si incontarono e intrattennero un rapporto epistolare, ci fu contiguità di interessi scientifici, soprattutto in relazione all’ipnosi.

 

 


13/07/2015