La decolonizzazione

Su questo tema il 26 gennaio Miriam Rossi ha proposto un approfondimento nell'ambito di "Maturità 2015.Parliamo di storia" 

[ Miriam Rossi]

Nell'ambito di Maturita-2015-parliamo-di-storia, il percorso annuale promosso dalla Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e dall’Associazione culturale “Antonio Rosmini” lunedì 26 Miriam Rossi porterà il suo contributo su "La decolonizzazione".

Il 1960 - spiega Rossi - fu un anno straordinario per l’autodeterminazione dei popoli. Il raggiungimento dell’indipendenza di ben 17 Stati africani in quel solo anno spalancò la porta al solenne riconoscimento del diritto di tutti i popoli di decidere liberamente del proprio statuto politico e del loro sviluppo economico, sociale e culturale attraverso la proclamazione della Dichiarazione ONU sulla concessione dell’indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali.

Il processo di decolonizzazione era nel suo pieno fermento e anche il sistema delle relazioni internazionali si modificava insieme ad esso, trasformando con una inaspettata celerità la cartina politica mondiale. A dispetto infatti dell’asserita volontà dei “popoli della Nazioni Unite” fuoriusciti dal secondo dopoguerra di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli” (art. 1 Statuto ONU), alla sua nascita nel 1945 l’Organizzazione aveva deluso le aspettative di quanti dalle colonie avevano sperato in una immediata concretizzazione di quegli ideali di libertà, uguaglianza e democrazia sui quali si era fondata la loro partecipazione alla guerra contro il nazi-fascismo.

A distanza di poco più di un decennio, l’elevazione a diritto del principio di autodeterminazione dei popoli e l’affermazione dell’illiceità del colonialismo davano quindi un segno della profonda trasformazione innescata, cui però le potenze coloniali si piegavano a fatica. Le indipendenze di India prima, Algeria, Angola e Mozambico poi, e di molti altri territori, evocano ancora oggi le lotte violente messe in atto per ottenerle e talvolta gli scontri dettati dalle strumentalizzazioni delle superpotenze all’interno dello scenario globale della guerra fredda.

In questo clima favorevole al processo di decolonizzazione è possibile inquadrare anche la decisione dell’Austria di affermare ancora una volta il suo ruolo di tutela sull’Alto Adige chiedendo una revisione della decisione adottata all’indomani della prima guerra mondiale di assegnare il territorio all’Italia, che contravveniva palesemente il principio di autodeterminazione dei popoli. L’iscrizione della controversia altoatesina nel dibattito in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite negli anni 1960 e 1961 poggiava proprio sulla corretta osservanza di tale diritto ma non ottenne lo sperato successo cercato dal governo di Vienna. Emerse allora la volontà di non applicare il principio di autodeterminazione nelle zone di frontiera mistilingue, che avrebbe causato nei territori europei degli ovvi problemi, in quanto se lo si fosse applicato, tutte le frontiere sarebbero diventate precarie e i problemi delle minoranze si sarebbero solo spostati senza essere risolti. La soluzione stava allora in un trattamento umano e liberale delle minoranze, dando garanzie giuridiche del rispetto dei loro diritti, proprio come l’elaborazione del Pacchetto avrebbe fatto percorrendo la strada battuta dall’Accordo De Gasperi-Gruber.

Miriam Rossi - ricercatrice presso l'Università degli studi di Perugia

19/01/2015