Lo spirituale dell’arte contemporanea

Nel contemporaneo il sacro può essere detto solo come allusione, come spazio intangibile

"L’arte del XX secolo è deliberatamente antireligiosa ma profondamente spiritualistica. Ciò che si è determinato è una distanza via via incolmabile tra arte e chiesa, segnata da diffidenze e timori".

È con questa premessa che ieri nel ciclo di incontri “Dialoghi. Cristianesimo, trasformazione, contemporaneità” - frutto della collaborazione fra il Polo Culturale Diocesano, il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, la Biblioteca civica “G. Tartarotti” di Rovereto e il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto - Vincenzo Trione ha approfondito il tema "Lo spirituale dell’arte contemporanea". 

Si tratta di "un dialogo controverso e ricco di ambiguità, per il quale è necessaria innanzitutto una distinzione linguistica, semantica e concettuale parlando da un lato di arte e spiritualità, dall’altro di arte e religiosità - riprende il docente -. L’arte del XX secolo è deliberatamente antireligiosa ma profondamente spiritualistica. Ciò che si è determinato è una distanza via via incolmabile tra arte e chiesa, segnata da diffidenze e timori".

In ambito teologico, con rare eccezioni, si è guardato con diffidenza teorica all’arte contemporanea. "Spesso l’architettura delle chiese del XX secolo rivela una sorta di indifferenza alla qualità dell’architettura contemporanea, e gli architetti tendono ad accogliere un’oleografia religiosa piuttosto retorica. Dall’altra parte - osserva - l’arte nel XX secolo si è profondamente secolarizzata, spesso ha scelto la profanazione come esperienza ludica che tende a sbeffeggiare ciò che prima si riteneva intoccabile. Ciò ha riguardato gli archetipi della religione, che molta arte contemporanea ha scelto di sfidare, in un atteggiamento di blasfemia nei confronti della religione stessa".

In questo atteggiamento di reciproca distanza, si inserisce però anche un fronte di ripensamento.

"Papa Paolo VI per primo ha sentito la necessità di riavviare il dialogo tra l’arte contemporanea e il mondo della religione, con l’apertura nei Musei vaticani di una galleria dedicata all’arte moderna e contemporanea. Nel 1999 poi Giovanni Paolo pubblica una lettera agli artisti in cui parla con lucidità della necessità di avviare una feconda alleanza tra arte e Vangelo. Fotografa un momento di disagio, in cui osserva che è vero, l’arte si sta allontanando dalla religione, ma conserva dentro di sé una sorta di appello al mistero che affiora con maggior forza più si allontana dalla religione. Parole che sono preludio a quanto la Chiesa ha messo in atto con Papa Ratzinger, il primo nel 2009 con Ravasi ministro della cultura, ad organizzare un summit chiamando in Vaticano 250 artisti che avevano dialogato sul tema del sacro. ‘Arte significa dentro ogni cosa mostrare Dio’, e per la prima volta il Vaticano apre un padiglione alla Biennale. L’ultima biennale con Papa Francesco curiosamente presenta invece delle chiusure estetiche, e il Papa  decide di eliminare il padiglione dalla Biennale. Nel 2016 Francesco pubblica il libretto La mia idea di arte, che ho trovato di una debolezza sorprendente. Individua il suo modello ideale di artista in un suo amico argentino Alejandro Marmo, scultore che lavora assemblando scarti e rovine che assumono fisionomie antropomorfe".

"Il vero problema - riflette Trione - è che l’arte religiosa rischia di rimanere legata all’iconografia, mentre gli artisti più interessanti fanno una scelta di aniconicità. Umberto Eco nel saggio Rappresentazione del sacro,in cui analizza il rapporto tra arte e sacralità, osserva che il sacro per vivere ha bisogno di immagini".

A questo punto, Trione partendo da Lo spirituale nell’arte di Kandinskij passa in rassegna una serie di artisti contemporanei che si sono interessati al tema del sacro, da Bill Viola per il quale “tutta l’arte è rappresentazione di cose invisibili”, ad Andrea Cerrano con la sua profanazione di un crocifisso di plastica con l’urina, alla rana crocifissa di Martin Kippenberger.

"Presenza del sacro è qualcosa che non vediamo ma che sentiamo, in cui il tema della luce ha un ruolo centrale - prosegue - da Kounellis per il quale nell’arte la domanda più della risposta è fondamentale, a Parmiggiani, alla grande croce fiorentina di Mimmo Paladino a Firenze, fino a due grandi modelli che per primi si muovono nella linea aniconica: Barnett Newman e Lucio Fontana (La fine di Dio).

Altro esempio di aniconicità e di centralità della luce è la Chiesa rossa di Milano di Dan Flavin, uno dei padri del minimalismo.

"Cosa accomuna questi autori? - si interroga Trione - Arbasino li definisce atei osservanti, sono laici che avvertono l’esigenza di una domanda di riportare la spiritualità in un tempo disincantato. La sfida è incantare un tempo disincantato, dando spazio all'esigenza di rilanciare l'esperienza di Kandinskij, al rifiutare ogni tipo di riconoscibilità immediata. Sono autori in cui un’opera si dà come soglia, che mettono in dialogo detto e non detto, in cui l'arte si fa preghiere laica, ovvero tensione verso la forma alta come in Malevič.

La grande arte contemporanea si nutre quindi della consapevolezza che si può dire solo per sottrazione, che il sacro non si lascia mai definire, può essere detto come allusione come spazio intangibile".

Trione, storico dell’arte dell’Università IULM di Milano, affronta il rapporto tra spiritualità e arte contemporanea. Nella Lettera agli artisti del 1999 Giovanni Paolo II affermava che, anche quando pare lontana dalla chiesa, l’arte ha una profonda affinità con il mondo della fede perché costituisce una sorta di appello al mistero. Che cosa significano queste parole? Esiste una ricerca artistica intorno all’invisibile, all’eterno, a ciò che sta al di là del reale? C’è spazio per la preghiera nell’arte? Il tempo dedicato a percorrere queste domande aiuta a nutrire non solo la propria formazione culturale, ma anche la tras-formazione della propria interiorità spirituale.


27/10/2017