Maria Devigili, una vita in musica e per la musica

Nuovi riconoscimenti per la “cantantessa” trentina

L’ultima soddisfazione gliela ha data nientemeno che Eugenio Finardi nelle vesti di direttore artistico del Primo Maggio di Bologna. Tra gli artisti chiamati ad animare il concerto dedicato al lavoro, alla ribellione e a Freak Antoni, leader degli Skiantos, c’era anche lei: Maria Devigili.

Piglio sicuro, grinta da vendere la cantautrice trentina “armata” della sua inseparabile chitarra ha lasciato il segno interpretando la sua D.N.A e la cover “Io sono uno Skianto”.Una passione, quella per la musica, nata quando era poco più che una bambina.

“Con una tastierina suonavo le mie prime canzoni – racconta - anche se non sapevo minimamente cosa fossero le note. Poi a 9 anni ho iniziato a comporre i testi con la chitarra”. 

Ricordi qual è stato il primo brano che hai scritto?

Certo. La mia prima canzone parlava dei gatti neri, animali che amavo molto - ero molto positiva (dice ridendo, ndr) e faceva pressappoco così “gatti persi nell’ombra, gatti fuggiti dalle case”. Rappresentavo i felini come potenziali killer che saltavano addosso agli esseri umani. Mi ero ispirata a “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe, che amavo molto. Da allora di testi ne sono nati parecchi altri.

Il 23 marzo è uscito infatti il tuo secondo disco “La Trasformazione” (RiffRecords/Goodfellas) finanziato in parte con una campagna su Musicraiser. Vuoi spiegare di che si tratta? 

È una raccolta fondi fatta su Internet tramite cui ho ricevuto la metà del costo della produzione del disco. E’ stato molto bello perché hanno aderito anche persone che non conosco e quindi non solo parenti e amici, come spesso accade. E’ una soluzione che consiglio ad altri artisti emergenti.

Quanto di Maria Devigili c’è nelle tue canzoni?

Una buona parte. Non mi piace l’autobiografismo esasperato però metto sempre un po’ di me. Nei miei testi cerco sempre di universalizzare dei concetti. Questa è stata un’influenza forte data dai miei studi universitari in filosofia.

Da anni ti sei trasferita a Bologna. Per quale motivo? Trento ti stava stretta?

Io a Bologna ho vissuto un anno come scelta di vita, poi sono andata via e tornata un po’ per caso. Per quanto mi riguarda, per il tipo di musica che propongo, posso dire che vivere d’artista in Trentino è forse più difficile rispetto ad altri posti. Una cosa che ho notato è una certa rassegnazione culturale. Qui non si rischia tanto.

Che consiglieresti ai giovani musicisti?

Di continuare a credere nell’arte, di essere curiosi, di innamorarsene continuamente con meraviglia. E soprattutto di non arrendersi e di non abbandonarla mai, anche se si fa un altro lavoro. L’arte è una ricchezza che ti aiuta sempre, nel piccolo e nel grande.

Infine, che cosa rappresenta per te la musica?

E’ la mia isola. Fare il lavoro che si ama è meraviglioso anche se è difficile perché sei continuamente in balia di escursioni emotive: a volte ti applaudono, a volte meno…E’ quello che sta attorno alla musica che ogni tanto mi lascia perplessa. La musica in sé invece, non mi delude mai. E’ la mia vita.

Chiara Limelli - redazione Undertrenta

04/05/2015