"Prima del silenzio": la parola come atto creativo

“Le cose prendono consistenza dalle parole. La parola che non trova asilo è già morta nella bocca dell’uomo, senza resurrezione”: l'intenso elogio della parola di Leo Gullotta al Teatro Sociale di Trento 

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Sipario aperto, un divano rosso al centro, una scritta in alto “Prima del silenzio”. Null’altro in scena. I due protagonisti irrompono correndo, rumorosi. Li vedi già sul palco, Leo Gullotta semi-sdraiato sul divano, il ragazzo dietro, seduto sullo schienale.

Scopri che il divano è una barca a remi mentre la voce del mare inizia a salire, si fa onda, immagine che cattura lo sguardo e sembra avvolgere i protagonisti. Il giovane, bello e muscoloso, che rema, l’uomo di mezza età, avvolto in un’ampia casacca e anonimi pantaloni beige, inizia a parlare, continua a parlare, non smette di parlare.

L’idea della morte aleggia, insieme con quella della poesia, unica possibilità di sconfiggerla.

“Soltanto i poeti possono celebrare la morte” afferma “Lui”, cioè Gullotta che aggiunge di conoscere “un elenco di persone mai morte”, persone estranee al “cattivo gusto” che riempie il mondo. Come Gary Cooper, e altri morti che come lui “contano e per questo non muoiono mai”.

Sopraggiunge l’immagine del Titanic, e poi quella di una spiaggia per nudisti e del gelataio che passa tra loro, ma la morte non smette di essere presente, “vista su di sé è naturale – riflette Gullotta - su un amico diventa diabolica”, e così “la vita va avanti, ma con troppi buchi. Questo è inammissibile, e allora la realtà diventa quella che tu ti inventi”.

E sopraggiungono i poeti inglesi degli anni trenta, Eliot avanti a tutti, e la sua poesia. E il silenzio, l’idea della cenere.

Incalza lo scontro verbale con il ragazzo: “Tu non hai il dono della curiosità, non hai nulla da chiedermi” lo sfida “Lui”.

E arrivano anche i fantasmi del passato. La moglie, il figlio, il maggiordomo che “Lui” ha lasciato per tagliare i ponti dalla sua vita di cinquantenne borghese.

“Non c’è scampo, a chi sputa in cielo gli ritorna in faccia” -  commenta ancora.

“ Le parole non so dove stanno, non sono in grado di inventare un vocabolario dove le parole corrispondano alle cose. Preferisco un mondo senza parole, in cui ci si intenda con i segni. Le parole sono un inganno, non servono a nulla” – ribadisce il ragazzo.

“La vita, maledetta, è parola” – incalza Gullotta.

Ed ecco una pioggia di fogli invadere la scena, simbolo di tutti i naufragi della vita.

“Ma il naufragio delle parole ci trova ancora impreparati: bruciano libri, ghetti, bruciano molto altro, ma ci restano le parole. Parole per impedire la morte del passato, unica testimone che ci dichiara vivi” – è quasi un urlo ormai quello di Gullotta .

“Le cose prendono consistenza dalle parole. La parola che non trova asilo è già morta nella bocca dell’uomo, senza resurrezione” - conclude.

L’applauso del pubblico dopo tanta attenzione può finalmente scrosciare, ed è lungo, incontenibile, liberatorio. Prima del silenzio e perché non il silenzio non arrivi, la parola è atto creativo.

redazione

20/02/2015