Sul concetto di volto nel figlio di Dio

Si conclude con la Compagnia Socìetas Raffaello Sanzio al Melotti di Rovereto la rassegna "Incursioni teatrali nel contemporaneo"

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Approda al Melotti di Rovereto Sul concetto di volto nel figlio di Dio, che ha debuttato ad Essen in Germania nell'ambito dell'iniziativa Theater del Welt, e ha animato in questi anni un dibattito assai vivace, raccogliendo anche forti critiche, fino ad essere tacciato di “blasfemia”. 

Sarà la proposta teatrale di Romeo Castellucci, infatti, a concludere martedì 5 aprile alle 20.30 al Melotti di Rovereto la rassegna teatrale dedicata al contemporaneo. Dopo aver frequentato, dal 2010 a oggi, i teatri delle maggiori città europee, lo spettacolo arriva in Trentino in collaborazione con il Centro servizi culturali Santa Chiara. 

Sulla scena una gigantografia dell'emblematico Ecce Homo di Antonello da Messina che interroga il nostro sguardo, e schiude la riflessione. Un profondo coinvolgimento empatico in cui umano e divino si trovano faccia a faccia, “sguardo a sguardo”, accomunati da un percorso di sofferenza. 

"Una pièce che non pone al centro la figura di Gesù, non ha un carattere sociale di denuncia, ma affronta il tema della religione concepita nel suo humus di simboli e rituali, senza alcuna accezione mistica o teologica. Romeo Castellucci prende le distanze da tutto ciò, portando sulla scena la cura e l’infinita pazienza con cui un figlio si dedica al padre colpito da decadenza fisica e psicologica

In uno dei momenti più forti dello spettacolo, che non ha mancato di alimentare un dibattito dai toni talora accesi, una decina di ragazzi entra in scena e prende di mira il ritratto di Cristo. I colpi che raggiungono il grande dipinto provocano dapprima un forte rumore che poi però si trasforma in un'antica musica religiosa".

«Il significato profondo di questo gesto – spiega Romeo Castellucci – è da rintracciare nella tradizione evangelica dei gesti della Passione. Lo ripeto ancora una volta, non ho nessuna intenzione di dissacrare il volto di Gesù. Per me, al contrario, si tratta di una forma di preghiera, che passa attraverso l’innocenza del gesto di un ragazzo (le armi sono evidentemente giocattoli) che percuote quel volto proprio per risvegliarlo e riscattarlo in una forma di nuova e necessaria passione; in un nuovo dialogo con l’assenza di quel Volto, richiamato dagli stessi gesti che lo consegnarono alla croce. […] Personalmente sono convinto che, per un adolescente, possa trattarsi di un’esperienza carica di significato nella sua pregnanza spirituale, e attraverso l’omeopatia di un gesto violento esprimere un grido di preghiera necessaria


31/03/2016