Autobiografia #Covid19 di Luca Chistè

Un dialogo autobiografico sulla mia esperienza

Mostra , Mostra fotografica

COVID19
Un dialogo autobiografico per immagini
Articolo pubblicato sul Corriere del Trentino
[04/04/2020]

Questo lavoro è nato nel corso del mio ricovero, per alcuni giorni, al reparto infettivi di Trento, allorquando il personale sanitario, avuto esito positivo del mio tampone per il Coronavirus, ha deciso di ricoverarmi.
Nel corso della degenza, dopo aver recuperato le forze grazie al trattamento antivirale praticatomi, ho avuto modo di riflettere su moltissime cose e, nel cercare un senso a questa esperienza, molto difficile sotto il profilo emotivo e psicologico, ho deciso di “dissezionare”, per immagini, il contesto nel quale mi trovavo.
Un’assegnazione di identità ad un luogo nel quale il tempo sembrava rallentare, fino a sospendersi.
Grazie all’interessamento di due amici giornalisti (un particolare ringraziamento a Tristano Scarpetta e Marika Damaggio), la redazione del Corriere del Trentino ha deciso di pubblicare, sabato 4 aprile 2020, integralmente il testo che ho scritto e una selezione delle immagini che, “ab origine”, hanno composto la mia storia fotografica.

TESTO DELL’ARTICOLO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO

8 marzo, festa della donna.

È iniziato tutto quel giorno. Come un’influenza intestinale. Con la sola differenza che non riuscivo, in nessun modo, a vomitare.
Chiamo il medico, mi rassicura. Resisto, con sintomi vari, fino al 12 marzo, poi, grazie all’insistenza di Arianna e Flavio, due cari amici medici dell’Ospedale di Borgo Valsugana, dopo aver seguito le procedure previste, concordo un appuntamento al Pronto Soccorso Covid19 di Trento.

Sono accolto da personale preparatissimo e cortese. Lastre, tampone, esami del sangue. La lastra rivela un “piccolo” focolaio polmonare; il tampone, dopo ore di attesa, si rivelerà negativo. Sono dimesso, seguo pedissequamente il trattamento antibiotico, ma i sintomi non “tornano”.. Sapore metallico nauseabondo in bocca, inappetenza assoluta, mi sembra di sentire meno gli odori e, sicuramente, percepisco meno bene i sapori..
Ho qualche difficoltà respiratoria e una stanchezza mortale..

Di nuovo, i miei cari amici, mi consigliano una rivalutazione.. Il quadro non è chiaro, e la clinica del Covid19 è poliforme e imprevedibile.. Il 28 marzo, sotto, la doccia, avverto una chiara dispnea.. Ho sempre praticato nuoto e, facendo snorkeling, riesco a resistere sott’acqua fino a quasi 2’.. Impossibile, ora, respirare sotto il getto caldo della doccia. Manca il fiato. Chiamo Paola, che chiama subito il 112..
Accade tutto in fretta, ma dal finestrino dell’ambulanza volgo lo sguardo alla bellezza degli alberi in fiore che, dalla strada di Povo verso Trento, declinano in strade vuote e deserte, di un paesaggio urbano divenuto surreale e sconosciuto.

Altre lastre, altro tampone.. Il pomeriggio arriva l’esito.. “Signor Chistè, lei è positivo Covid19, ci dispiace. A causa della comorbilità di alcune sue patologie la trasferiamo subito agli infettivi”.. Mi sembra che il cuore esploda. Una batosta inaspettata.. “..Ma il 12 ero negativo..”.. “Può essere stato un falso negativo, succede in molti casi… La accompagniamo agli infettivi..”.. Nel tragitto la testa diviene un tourbillon di pensieri e l’unica cosa che mi appare nitida è la preoccupazione per Paola.. “Sarà positiva anche lei?…”.. La risposta non giunge dal tampone, che non le viene fatto perché Paola è asintomatica, ma dalle procedure previste in questi casi. È considerata positiva a prescindere.. Dovrà fare, indipendentemente dai sintomi, tutta la quarantena dei positivi Covid.

La stanza degli infettivi è ricavata in un’ala dell’ospedale in corso di ristrutturazione. Ad accogliermi, l’essenziale. E un’altra paziente, da cui sono separato da una tenda di colore rosa.

Si comunica attraverso un vetro spesso, dal quale io sento a fatica.. Le rilevazioni dei parametri sono scritte su dei Post-it, appiccicati al vetro per essere poi ritrascritte sul diario giornaliero del paziente.
Un grande orologio rotondo, smontato dalla parete e appoggiato sul tavolo, insieme a tutto il materiale sanitario, scandisce il trascorrere del tempo.. Di notte, osservandolo, mi pare diventi un gigantesco alambicco: distilla tempo.. I minuti divengono ore, le ore settimane.. Tutto rallenta, ad eccezione del frenetico lavoro del personale sanitario. Sono Angeli. Vestiti di blu e di verde quelli addetti alle terapie, luminosi di bianco quelli che si occupano delle pulizie. Sono cortesi, preparati, pazienti. La mia compagna di stanza, abbastanza anziana, ha alcuni problemi.. Viene assistita, cambiata, accudita, più e più volte al giorno, anche di notte, quando, squarciando il silenzio, grida: “Aiutooooo!…”..
un’assistenza incredibile; una pazienza infinita.

Durante una visita con due dottoresse, stringo la mano ad una di loro. È sorpresa da questo gesto, ma non si ritrae.. “Mi scusi.. Ho molta paura..”.. Piango e stringo così forte la mano di quella persona, che l’umanità buca la plastica di protezione dei guanti, scorre veloce nelle vene e giunge dritta all’anima.. “Non si preoccupi.. Lei sta bene.. Molti sono in condizioni più gravi..”.. “Lo so.. Mi perdoni…”.. Tutto il carico emotivo raccolto in quelle lunghe ore si stempera in quella stretta, che non scorderò mai.. Fisso il suo sguardo, che attraverso la maschera di protezione mi appare ancora più luminoso e profondo..

Con la terapia antivirale, ritorna l’appetito.. E un po’ di forze…

Decido allora di “dissezionare”, per immagini, tutti gli oggetti che sembrano contribuire a dare un senso a quel “non-luogo”.. Un’operazione che diviene l’equivalente concettuale di quell’infinito tempo, distillato alla paura.. Racconto le mie emozioni con ciò che credo di saper usare meglio: la fotografia.. Scatto sequenze, che ricomporrò in questo quadro visivo; dialogo interiore autobiografico.
“Oggi la dimettiamo..”.. Non mi sembra possibile.. Avevo colto che sarei rimasto in quella stanza per almeno dieci giorni.. “I suoi parametri sono buoni.. La mandiamo a casa..”.. Sono felice, certo, e penso che forse quel letto potrà a servire a chi ne avrà più bisogno..

La stanza si apre, finalmente rivedo la luce del sole.. Ringrazio la responsabile degli infettivi: “La prego di ringraziare tutto il personale per l’assistenza.. Sono persone straordinarie..”.. “Grazie signor Chistè, lei è molto gentile, ma noi facciamo solo il nostro lavoro..”.. È così, certamente.. E non occorre aggiungere altro a questo straordinario esempio di professionalità e abnegazione verso il prossimo.. Un universo parallelo in cui si cela un’umanità che dovremo ricordare per tutti i giorni a venire.

Il viaggio in ambulanza, nel rientro verso casa, mi riserva un’ultima inaspettata sorpresa.. Sull’ambulanza, uscita insieme a me dallo stesso reparto, trovo la responsabile di una importante realtà istituzionale e culturale trentina, con la quale, due mesi prima, avevo inaugurato, a Palazzo Roccabruna, una rassegna dedicata alle Dolomiti di Brenta: “Il mutare dell’eternità”.. Lo stupore è reciproco e ad entrambi sembra impossibile di essere lì, insieme, in quella circostanza.. Una coincidenza incredibile e quasi beffarda.. Il senso dell’effimero, della imprevedibilità e della fragilità che accompagna le nostra vite ci scorta nel lungo e silenzioso viaggio di rientro alle nostre famiglie..
Ci rivedremo, lo so..

Luca Chistè / 2 aprile 2020

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RINGRAZIAMENTI
Ringrazio tutte le persone, davvero molte, che hanno compreso il senso di questa testimonianza, sostenendo la mia scelta con centinaia di messaggi e con una vicinanza che, insieme alla mia compagna, Paola, ci ha permesso di superare un momento molto difficile del nostro cammino. Ho trascritto alcuni dei messaggi che mi sono giunti, perché li considero parte integrante di questo mio percorso che, oltre ad essere autobiografico, vuole essere di testimonianza per coloro che hanno affrontato, devono affrontare o affronteranno, il Coronavirus.
Grazie.

Nota: dedico questo lavoro a tutti coloro, davvero tantissimi, che mi sono stati vicini moralmente e materialmente in questa esperienza, dimostrandomi, con il loro affetto, quanto contassimo gli uni per gli altri.. Il lavoro è anche dedicato a quell’esercito di persone, del mondo sanitario e non solo che, con il loro lavoro e la loro professionalità, con uno spirito di abnegazione che deve essere di esempio per tutte le generazioni future, si stanno dedicando, senza tregua, a curare i malati di Coronavirus, rendendo loro possibile una speranza. (LC)