El Alamein
Italia, 2002
Durata: 117'
Genere: Guerra
Regia: Enzo Monteleone
Cast: Silvio Orlando, Emilio Solfrizzi, Roberto Citran, Giuseppe Cederna
Ad El Alamein (23 ottobre - 1 novembre 1942) l'Armata Italo-tedesca viene sbaragliata e costretta ad una ritirata umiliante: è la prima grande sconfitta dell'esercito tedesco. Assieme alla battaglia di Stalingrado e allo sbarco in Normandia è stata una delle svolte fondamentali della Seconda Guerra Mondiale. Accanto ai tedeschi nella lotta contro gli inglesi c'erano dunque anche gli italiani, un esercito di soldati male armati, ma valorosi, abbandonati a se stessi, straccioni ma pieni d'orgoglio, capaci comunque di eroismi contro un nemico troppo forte e un alleato che li disprezza.
La guerra è bella solo sui libri di scuola, nella vita fa solo pietà, è orrenda e puzza". Questa frase del fante Serra, alla fine del viaggio, dalla retorica della guerra alla consapevolezza dell'inutilità di tutti i conflitti, riassume bene il film di Monteleone, che rappresenta la parte immaginaria, la ricostruzione per immagini cinematografiche, di quella cronaca dei sopravvissuti nel film tv I Ragazzi di El Alamein (già trasmesso dalla Rai al solito orario notturno). Nel film cerchiamo l'immagine che possa darci il senso della follia bellica, così come in altre opere recenti, e il film di Enzo Monteleone sa benissimo focalizzare l'attenzione sulle esperienze di guerra più crudeli e devastanti per l'individuo. Che non sono solo i combattimenti con i feriti e i morti, ma innanzitutto la struggente quotidianità, l'attesa infinita (c'è tanto il Buzzati di "Il deserto dei tartari") di una prospettiva che alleggerisca le sofferenze terribili, la fame, la sete, le malattie (il fante Serra è avvertito di non presentarsi all'infermeria per la dissenteria perché tanto ce l'hanno tutti), i bombardamenti durante i quali ciascuno fa i conti con i propri miracoli, dopo tre miracoli, c'è da aspettarsi di tutto, ma è solo un esorcismo per calmare l'ansia, per sentirsi minimamente protetti da Dio o da qualcos'altro. La religione conforta, qualcuno si fa il segno della croce (il sergente quando deruba i morti inglesi), si confida in un simbolo trascendente (forse solo la virtù del coraggio), ma l'umanità spicciola infine prevale, la paura, le angosce, il dolore per la lontananza da casa, il senso della propria vita che si scontra con l'assurdità e l'ingiustizia per chi la guerra la fa in prima linea dentro le trincee. È d'altra parte suggestivo e al contempo triste pensare che un ragazzo meno che ventenne possa essere affascinato dal senso di solidarietà guerresca ed essere spinto a lasciare l'università per "servire la Patria"; anche quest'ultimo valore sembra definitivamente tramontato di fronte al concreto inganno perpetrato dal regime fascista (ma naturalmente da qualsiasi governo che usi la guerra) di Mussolini che continua la propaganda a suon di sfilate a cavallo e stivali lucidi. Ma nel 1942 ancora qualcuno poteva crederci, oltre a Serra anche il generale interpretato da Silvio Orlando che risponderà con l'unico gesto dignitoso possibile, il suicidio, alle personali responsabilità di migliaia di vittime innocenti, mentre qualche altro ufficiale continuerà ad indossare la maschera di falsità di fronte alla cocente evidenza di una disfatta tutta umana piuttosto che la sconfitta di un esercito.
Il rigore documentaristico della parte iniziale è perfettamente integrato con il calore dei personaggi, che rappresentano un ventaglio di tipi diversi, di sensibilità differenti, che sembrano poi vibrare all'unisono per l'unica urgenza, di sopravvivere. Immagini del deserto africano che a poco a poco diventa sempre più bianco, vuoto e sconosciuto, i nomi stranieri impronunziabili suonano tutti uguali, le coordinate sulle mappe si confondono facilmente, la solitudine, l'abbandono, la deriva figurano un sentimento infernale di condanna, alla quale i personaggi reagiscono con dignitosa sottomissione. Non c'è né rivolta, né diserzione, e la corsa di quattro commilitoni verso il mare somiglia solo allo spiraglio di luce nella totale oscurità, l'immersione nudi nelle acque alla beatitudine di un momento felice sottratto all'orrore.
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