Hotel Rwanda
Serate in forma di Cinema
Canada/Uk/Italia/Sud Africa, 2004
Titolo originale: Hotel Rwanda
Genere: Drammatico
Durata: 121'
Regia: Terry George
Cast: Don Cheadle, Sophie Okonedo, Nick Nolte, Joaquin Phoenix, David O'Hara
Sito ufficiale: www.hotelrwanda.com
La storia vera di Paul Rusesabagina, un manager di un hotel del Ruanda, che durante la guerra tra Tutsi e Hutu rifugiò nel suo albergo più di mille rifugiati Tutsi per impedire che le milizie Hutu li massacrassero.
Hotel Rwanda è un film decisamente meritorio a livello ideologico e culturale, poiché fa emergere dalloblio nel quale era piombato un evento terrificante che tuttora comprova latteggiamento dissimulatore e furbo delloccidente capitalista, ben attento, nel terzo millennio, a negare con la forza fuorviante della politica degli aiuti internazionali tutti gli orrendi delitti commessi a causa di un colonialismo vergognoso che ha lasciato tracce molto profonde in un tessuto sociale particolarmente fragile e indifeso.
La regia del film è stata affidata a Terry George, il quale ha costruito una vicenda basata sullo sviluppo della storia privata di Paul Rusesabagina, direttore (hutu) di un hotel di lusso, situato nella capitale Kigali, di proprietà belga.
Dunque, la scelta dellautore è stata quella di collocare il drammatico evolversi di un microcosmo familiare in un macrocosmo sociale caratterizzato dallo svolgersi di uno degli accadimenti più terrificanti del XX secolo: gli scontri etnici che in pochissimo tempo provocarono oltre un milione di morti tra la popolazione civile del Rwanda.
Il genocidio dei tutsi è stato qualcosa di autenticamente spaventoso, ancor di più perché si è concretizzato nellambito di una popolazione che ha metabolizzato sentimenti razzistici non per volontà propria ma per lazione malefica e perversa della cultura bianca, sopraffattrice e imperialista. Tale gigantesco massacro si verificò nellassoluta immobilità del mondo ricco e dellopinione pubblica mondiale, la quale assistette ad una carneficina apocalittica senza scomporsi più di tanto.
Con Hotel Rwanda, il cinema ha provveduto a colmare la cronica mancanza di attenzione che i mass media hanno nei confronti di quelle zone del mondo nelle quali non ci sono risorse di carattere strategico. No petrolio? No informazione.
Daltra parte (e per fortuna), anche Hollywood, oltre al cinema europeo, ha mantenuto unanima progressista sempre sensibile alla rappresentazione delle istanze dei più deboli, dei diseredati e dei figli più deboli della civiltà consumistica.
Ne è venuto fuori un film tutto basato sulle emozioni e sullamplificazione parossistica dei sentimenti dei protagonisti. Tali sconvolgimenti esistenziali sono innestati però in un tessuto stilistico e narrativo eccessivamente divulgativo e didascalico. Davanti alle sequenze di Hotel Rwanda, lo spettatore non può fare a meno di calarsi nei panni del cittadino a cui tutto viene insegnato in modo nozionistico. Questa relazione tra prodotto artistico e fruitore determina una sorta di corto circuito espressivo che trova la massima affermazione, in senso negativo, in unevidente prevedibilità del racconto. Sarà pure una storia vera quella di Paul Rusesabagina, ma dal punto di vista strettamente cinematografico non può che venirci in mente il problema di una certa fiction di moda negli ultimi anni: quella che pone lindiscutibile bontà di singoli individui, che hanno rischiato la loro stessa incolumità per il bene altrui, come fenomeno contrapponibile in maniera quasi proporzionale allazione malvagia di intere collettività. Ebbene, questa operazione culturale può essere pericolosa sotto il profilo della comunicazione poiché potrebbe indurre qualche sprovveduto a pensare che il comportamento coraggioso e isolato di qualche persona dotata di grande cuore e senso di umanità abbia consentito, da solo, la sconfitta del male. E solo un modo, questo, per mettersi a posto la coscienza, ma ciò non elimina, purtroppo, la questione del ciclico manifestarsi di quella particolare follia collettiva che si concretizza nella mostruosa organizzazione di macchine di morte, senza senso.
David Arciere da www.cultframe.com