“Il bianco del re”

Pietro Savorgnan di Brazzà, l'esploratore del Congo

Incontri e convegni , Presentazione libro

Grazie al libro “Il bianco del re” ( Nottetempo Edizioni ) ci troviamo proiettati in Africa, nel Congo Brazzaville, sulle tracce della mitica figura di Pietro Savorgnan di Brazzà, un esploratore italo-francese i cui metodi pacifici hanno rappresentato il versante perdente del colonialismo: oscurato dall’astro violento di Henry Morton Stanley, Brazzà lottò contro il sistema schiavistico, tanto da conquistarsi l’amicizia del popolo congolese e da arrivare a dare il suo nome alla capitale del paese.

Venne destituito dall'incarico di governatore del Congo improvvisamente e senza motivo, ma nel 1903 arrivarono in Francia numerosissime voci di abusi, stragi e orrori che fecero scalpore e conquistarono i titoli dei giornali. Il Governo si trovò in difficoltà e Parigi, per calmare l'opinione pubblica, decise di richiamare l'eroe Pietro Savorgnan di Brazzà, per affidargli un'inchiesta sul campo. L'esploratore accettò l'incarico, anche se sapeva bene che Parigi e i funzionari in realtà remavano contro di lui.

Durante un ballo tribale organizzato in suo onore uno stregone dei Tekè gli fece capire, a gesti, mentre danzava, che le prigioni teatro dell'abominio erano al Nord. Pietro di Brazzà in pochi mesi realizzò una relazione scottante, terminata la quale s'imbarcò per la Francia.

Il celebre esploratore però non raggiunse mai Parigi: morì infatti a Dakar, a soli 53 anni, il 14 settembre 1905, durante il viaggio di ritorno, forse a causa di qualche malattia tropicale, o forse avvelenato. Alla morte il Governo proclamò di volerlo seppellire al Pantheon, ma la moglie rifiutò l'onore ipocrita e di Brazzà venne sepolto ad Algeri.

Sulla sua lapide venne scritto «La sua memoria è pura di sangue umano». Nel febbraio del 1906 l'Assemblea Nazionale Francese votò la soppressione della relazione di Brazzà.

A ricostruirne la figura e a porla al centro di un romanzo che ha qualcosa delle opere di un Werner Herzog lo scrittore, regista e documentarista Clemente Bicocchi, trasferitosi nel 2008 in Svizzera, in una terra che sente ostile.