L'officina della camomilla

Musica

Con chi potevamo passare il Venerdi Santo se non con L'Officina della Camomilla? È partito lo “Squatter tour” e noi ci s(t)iamo dentro! Ingresso 4 euro.

Arriva alla Bookique il gruppo più lo-fi d'Italia, L'Officina della Camomilla, che tra cantilene stralunate e pensieri surreali, è quanto di più unico si possa trovare al momento nell'indie contemporaneo.
Attivi dal 2009 e con centinaia di migliaia di click su youtube, più di cento canzoni, molti cambi di formazione ed lunghissimi tour in tutta Italia, il gruppo che ruota intorno al giovanissimo Francesco e il polistrumentista Claudio ha esordito nel 2013 con Garrincha Dischi con l'album "Senontipiacefalostesso" e da poco invece pubblicato l'EP "Squatter", su cui è centrato appunto lo Squatter Tour di passaggio per la Bookique. Le canzoni dell'Officina sono istantanee feroci atte a formare un quadro più ampio, una tavolozza su cui i nostri riversano colori pastello e riflessioni a trecentosessanta gradi, senza retoriche tronfie o velleità di giudizi universali. I brani prendono vita da appunti di appunti, frammenti di ricordi, allucinazioni modellate, cieli nuvolosi, da ogni piccola sensazione che affiora sottopelle. Così i protagonisti dei brani nascono e si muovono nella periferia poichè è la finestra da cui L'Officina Della Camomilla guarda il mondo, si trovasse anche nel centro di Milano. Personaggi veri e immaginari insieme, che non hanno paura di raccontare o di essere raccontati, pedalando in bicicletta prima tra le macchine e poi tra gli alberi, in mezzo a tekno-raver, kebabbari e bar di cinesi. Figure che si incontrano e scivolano veloci come i paesaggi attraverso i finestroni di un tram, le storie di Dora, di Lucilla, Agata e Mohamed, di Moreno, di ragazzi non meglio definiti e quindi di persone che in fondo potremmo essere (stati) noi. Strumenti giocattolo e tastierine mischiate al clapping, chitarre distorte à la Libertines dei tempi d'oro, favole cattive dove esplodono le scuole e i panifici figlie dell'alienazione nei non-luoghi e per i lavori sempre più improbabili, giocate su accenni di ninnenanne per non dormire, come direbbe il mai troppo compianto Pier Vittorio Tondelli. E poi, le fascinazioni per l'uptempo e per il pop più zuccherino, quello che fa innamorare, fatto per celebrare in posti improbabili i ritorni più attesi.
L'Officina della Camomilla divide la critica tra chi vede un'operazione "underground" creata ad hoc, priva di spessore musicale, e chi invece ritiene il gruppo capace di infiltrarsi e parlare ad una generazione sempre più impalpabile e silenziosa. Di fatto è innegabile che la costruzione di un pubblico di followers senza l'appoggio del mainstream musicale e radiofonico è operazione difficile da farsi e qualcosa di buono deve nascondere. L'Officina è riuscita finora nell'opera senza snaturarsi, ma evolvendo lungo una linea di esplorazione sempre più fitta ed estrema di ciò che è la vita giovanile oggi, di ciò che è la musica del nostro tempo, di ciò che è la poesia. Schitarrate noise e tastierine dolciastre, infanzie negate e ricordate, incazzature verso non si sa chi purtroppo, versi come "la mia ragazza è la solitudine" o "ti ho chiamata senza sapere il tuo nome": qualcuno parla di postmusic, qualcuno etichetta come lo-fi, l'aspetto politico di tutto ciò forse è la consapevole volontà del gruppo di non forsi catalogare, di sfuggire facendosi cogliere solo in un'istantanea, come "un fiore per coltello", e morire trasformando l'istante dannato in un lascito di speranza.