Lola

Cinema

Francia/Italia, 1960
Durata: 85'
Genere: Drammatico
Regia: Jacques Demy
Cast: Anouk Aimée, Marc Michel, Jacques Harden, Elina Labourdette

Un cow-boy grande e grosso, tutto vestito di bianco, entra a Nantes al volante di una Cadillac. Al caffé Naval, Jeanne racconta al giovane impiegato Roland Cassard che crede di aver visto il figlio Michel, partito sette anni prima abbandonando una ragazza incinta. Frankie, un giovane marinaio americano, riaccompagna a casa Loia, una cantante di cabaret che lavora all'Eldorado. Al caffé Naval, la padrona segnala a Roland un possibile posto di lavoro in un negozio di parrucchiere. Sulla via dei negozio, Roland urta involontariamente Lola. In lei riconosce una sua vecchia amica d'infanzia di nome Cécile. Si danno appuntamento per quella sera. Al negozio, il parrucchiere Valentin propone a Roland di portare a Johannesburg una valigia dal contenuto misterioso. Poland accetta. Frankie, intanto, incontra l'altra Cécile in una tabaccheria. Insieme, fanno una passeggiata. Lola canta ai cabaret e accetta un contratto a Marsiglia. Poi s'incontra con Roland e passano la serata assieme, scambiandosi ricordi. Frankie si vede con Lola e la porta alla fiera, Poi le dà l'addio, dovendo ripartire per l'America. Roland trova la polizia da Valentin, che viene arrestato per contabbando di diamanti. All'Eldorado, Lola si getta tra le braccia del cow-boy vestito di bianco.

Non realista nelle intenzioni, Lola poggia, ciononostante, su una più essenziale fedeltà alla realtà, che è caratteristica di quello che chiamerei cinema orizzontale: il linguaggio utilizzato è sempre un linguaggio universale, che a sua volta veicola un linguaggio personale. Rinunciando agli stratagemmi facili ed arbitrari del sogno filmato e del flash-back, Jacques Demy giunge ad imporre il senso dell'immaginario, la presenza del tempo, attraverso gli strumenti più semplici e la via più diretta. Mentre Lola sale lungo una scalinata, la macchina da presa con un movimento di gru scende verso di lei, secondo un movimento tipico della commedia musicale; d'improvviso e miracolosamente il film sfocia in un tempo più rarefatto, in una sorta di elevazione lirica. Quanto alle tre donne - Cécile,
Loa, Mme Desnoyers - esse appaiono come le tre età di uno stesso personaggio, e questa sorta di rappresentazione sintetica è più bella di qualsiasi flash-back.
Uno dei momenti più grandi di Lola - e uno dei più enigmatici - è il ralenti di Cécile e Frankie durante la festa. La straordinaria delicatezza (eh sì, bisogna tornare ad usare certe espressioni consunte...), la straordinaria delicatezza di quel momento impedisce di arrischiarne qualsiasi analisi. Vi si può riconoscere il ritmo della scoperta dell'amore (e bisogna essere grati a Demy di aver convertito il ritmo della sua arte a quello amoroso), ma nella stesso tempo qualcosa che ha a che vedere con la nostalgia: quel ralenti non suggerisce già il ritmo dei ricordo, da ricordo che sarà un giorno? (François Weyergans, Lola au pays des hommes, «Cahiers du cinéma» 117, marzo 1961)

Ho scritto Lola pensando a Le plaisir di Max Ophuls, a cui è dedicato il film. Può darsi che questo racconto appartenga alla stessa famiglia delle opere di Prévert o di Queneau. Non che io abbia voluto plagiarli e adottare il loro stile, ma sono sensibile a quel genere di arretramento davanti all'esistenza che essi esprimono con una gentilezza, uno spirito dove è mescolata sempre un po' di amarezza Vorrei, infine, che ogni spettatore che entra depresso, imbronciato nel cinema dove si proietta Lola ne uscisse sorridente e che i film riuscisse a modificare, almeno per un momento, il suo stato d'animo e la sua visione della vita. («Le Monde»)
Sono partito veramente da ricordi personali della mia vita da adolescente a Nantes. Mi ricordo chi era Lola e chi era una ragazzina di dieci anni che abitava nella stessa casa dove abitavo io e che prendeva il denaro dalla borsa di mia madre per portarmi alla fiera. Avevo nove anni e dopo la scuola si andava alla fiera tutti e due. Sono ricordi incancellabili. Mi piaceva molto fare qualcosa sulla fedeltà, la fedeltà a un ricordo, e di mescolarvi quei ricordi di Nantes, di quando ero a collegio e marinavo i corsi per andare ai cinema... il momento in cui si cerca la propria vita, la propria ragion d'essere. E il film è fatto di un miscuglio, così... avevo due zie che si chiamavano Claire e Mena e che mi sono servite un po' da modello (per i personaggi di Claire e Jeanne). Ogni creazione è fatta di presente, passato e futuro, di cose che abbiamo conosciuto, incontrato... (Jean-Pierre Berthomé «Jacques Demy al les racines du rive», L'Atalante, Nantes 1982, pag. 122)