Mulholland Drive
Usa, 2001
Durata: 146'
Genere: Thriller
Regia: David Lynch
Cast: Naomi Watts, Laura Harring, Justin Theroux, Ann Miller, Robert Forster
Rita perde la memoria a causa di un incidente d'auto sulla strada di Mulholland Drive, a Hollywood. Sarà Betty Elms, un'attrice australiana appena arrivata a Los Angeles, ad aiutarla a recuperare la memoria e l'identità.
Criptico, enigmatico e ingenuo al tempo stesso, come le migliori prove di David Lynch, Mulholland Drive è un film puro, che racchiude tutto il suo senso allinterno dei propri meccanismi. Nei suoi momenti migliori è unopera di unintensità visiva assoluta, così autoreferenziale da azzerare ogni snodo narrativo finendo per svuotare un racconto personalissimo, ipertrofico e barocco: un gioco di specchi e incastri che, dopo la tersa, cristallina limpidezza di The Straight Story si riappropria, fagocitandoli fin quasi a neutralizzarli, dei nodi più morbosi, oscuri e irrisolti di Velluto blu, di Cuore selvaggio, soprattutto di Strade perdute, fino a ritrovare landamento incessante e delirante di Eraserhead.
Lynch torna su sentieri già percorsi in passato, ma lo fa con una misura narrativa nuova, più dilatata e più concentrata al tempo stesso: tesa, tormentata come non mai nel costruire, attraverso i gesti, i movimenti, le espressioni il senso esatto di ogni singola immagine, quasi di ogni singolo fotogramma, e pienamente libera, innocente, nel suo respiro globale.
Film integralmente di regia nella misura in cui si accanisce con una maniacalità che ha del visionario sulla presenza delle immagini a scapito della struttura narrativa, Mulholland Drive ripercorre i luoghi delluniverso di Lynch (non solo quello cinematografico: si pensi al suo percorso di pittore e fotografo) quasi cercando di estrarre dalla materia del suo cinema dei simboli organici, qualcosa che sia al tempo stesso profondamente carnale e lucidamente astratto. In questo percorso Lynch sembra guidato dallintuizione di una bellezza angelica, di una distanza siderale che riluce un istante per poi tramutarsi in ghigno deforme, informe, nellimmagine esatta del disfacimento stesso della forma, e torna ancora una volta sulle voragini che inghiottono ogni cosa, sugli ossimori della perversità innocente e dellinnocenza perversa, illuminando di bagliori accecanti le passioni da fiaba e da incubo, iperrealiste, inverosimili, di una vicenda di scambio di vite, in cui passato e presente coesistono in un tempo che è solo quello, interiore, dello scorrimento delle immagini.
Dopo lossessione della linearità assoluta di The Straight Story (la cui traduzione italiana con Una storia vera non rende assolutamente lambiguità del titolo originale), così utopica nella ricerca di una giustezza originaria, adamitica della narrazione, Lynch torna a sprofondarsi nelle tortuosità irrisolte di unimmagine che, come il tempo (e il cinema), si disfa nel suo stesso farsi. E pur muovendosi, perfettamente a suo agio, nei propri territori, riesce a scongiurare linsidia del film alla Lynch, evita di imprigionarsi nella rete che lui stesso ha ordito, creando una macchina che sacrifica tutto ciò che di norma compone la sostanza di un film, perlomeno di un buon film americano (snodi narrativi, coerenza dei personaggi, capacità di avvincere, di stupire e di creare sorpresa) alla forza allucinatoria dellimmagine, perseguendo lo sgretolamento di ogni residuo di compattezza narrativa a vantaggio di una dilatazione spazio-temporale che, a tratti, è puro flusso di coscienza.
Giacomo Daniele Fragapane
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