Piovono mucche

Cinema

C’è anche il cinema italiano

Italia, 2002
Titolo originale: Piovono mucche
Genere: Drammatico
Durata: 90'
Regia: Luca Vendruscolo
Cast: Alessandro Tiberi, Massimo De Lorenzo, Luca Amorosino, Andrea Sartoretti

Un criminale tetraplegico, una seduttrice in carrozzina, un camionista sclerotico, un giullare ipovedente e un folletto spastico. Più altri portatori di handicap e capi bizzosi e obiettori cinici e volontarie sexy: è la comunità di Ismaele. Ci finisce Matteo che passerà suo malgrado un anno leggero e spericolato insieme agli obiettori di coscienza.

Per capire e per provare a spiegare la forza e la grandezza (nel suo piccolo) di un film come Piovono mucche non c’è niente di meglio che la conferenza stampa tenuta al cinema Quattro Fontane di Roma per la proiezione stampa: decisamente la migliore tra quelle a cui mi è capitato di partecipare (poche, a dire il vero). La simpatia, la lucidità e l’affiatamento che il nutrito gruppo di attori, alcuni degli sceneggiatori e il regista hanno mostrato davanti a un uditorio spesso divertito, altre volte commosso, costituiscono infatti i pregi maggiori del film, una lieta sorpresa del giovane cinema italiano.
Sono le qualità umane, insomma, a fare di questo film uno dei migliori che io abbia visto sul tema della disabilità (anche qui non molti), forse quello che riesce a schivare meglio pregiudizi e facili pietismi.
Detto questo, bisogna anche ricordare che Piovono mucche è anche un film sugli obiettori di coscienza, su quanto può essere utile e bello passare un anno ad aiutare qualcuno anziché a imparare l’arte bellica (è una triste coincidenza che il film esca proprio in periodo di guerra). Il film nasce infatti dall’esperienza del regista, Luca Vendruscolo, come obiettore nella comunità Capodarco, e da questa esperienza vengono sia la profonda conoscenza sia il regista (e i co-sceneggiatori) dimostra sull’argomento, sia il tono leggero e privo di patetismo con cui si narra la storia (“uno degli anni più belli della mia vita”, dice Vendruscolo). Gli attori disabili, poi, sono realmente ospiti della comunità Capodarco (nel film, comunità Ismaele).
E sono, gli attori disabili (lo dico senza timore di incorrere negli errori che il film riesce a evitare), probabilmente la parte migliore di tutta la pellicola, ciò che la salva dall’essere il classico film giovanile italiano, magari dalle buone intenzioni ma stilisticamente piuttosto piatto e convenzionale.
Anzi, Piovono mucche sembra quasi avere due anime. Nella costruzione della storia (sintetizzando il più possibile: quella di un giovane obiettore che viene mandato suo malgrado nella comunità Ismaele, dove dopo un periodo di adattamento scoprirà la bellezza del vivere insieme, con i disabili e con altri obiettori come lui, condividendo un’esperienza unica), nella recitazione degli attori professionisti (fatta eccezione per Franco Ravera, bravissimo nella parte di uno sclerotico) e nello stile registico, infatti, il film non si discosta di molto dal suddetto cinema giovanile italiano di qualità spesso non eccelsa. Sennonché, nel momento in cui entrano in gioco i disabili, avviene uno scarto: questi infatti, trovandosi a recitare nella parte di se stessi (magari con un altro nome), ma pur sempre a recitare, dimostrano una straordinaria naturalezza, mentre gli attori “in piedi” (come Maria, attrice disabile, definisce i non disabili), a contatto con loro, sembrano quasi smettere di recitare, e le situazioni appaiono come più vere. Il tentativo di fare piazza pulita di luoghi comuni e tabù, poi, fa sì che ci si mostrino aspetti della vita in comunità raramente (o mai) visti prima: vediamo obiettori e disabili innamorarsi fra loro, ma fare anche solo sesso, vediamo un disabile che mantiene legami con la criminalità e fa uso di droghe anche pesanti, eccetera, tutte cose normalissime, certo, basta non voler per forza sostenere che loro, poveretti, “sono persone come noi”, o “sono meglio di noi”. Perché se è vero che i disabili sono come noi, lo sono in questo senso: non sono caratterizzati, nella loro personalità, dal fatto di esserlo, così come noi non lo siamo dal non esserlo.
Nel 1996 la sceneggiatura, nella sua prima stesura, ha vinto il Premio Solinas.
Diego Barboni, 01/04/2003 da:


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