Troppolitani – Valle occupato

di Antonio Rezza e Flavia Mastrella 

(Italia, 2014, 61′)

Cinema

L’arte è utile all’uomo?

Gli attori sono adeguati alla società. I passanti sono persone che vogliono sognare ma ormai hanno perso la fiducia, da una parte la pigrizia, dall’altra i condizionamenti e la descolarizzazione, impongono di abbassare la mira e tutti si accontentano di inseguire modeste aspettative dozzinali. La realtà e l’arte non sono in comunicazione, impoveriti dall’individualismo gli attori e gli artisti danzano al ritmo imposto dal potere, si scannano, si prevaricano senza rendersi conto delle possibilità di comunicazione che si aprono muovendosi fuori dal coro.

  • condotto e galoppato da Antonio Rezza
  • immagini Marco Tani
  • seconda macchina Flavia Mastrella
  • montaggio Barbara Faonio
  • suono Massimo Simonetti
  • regia Flavia Mastrella e Antonio Rezza
  • prodotto da rezzamastrella e teatro valle occupato
  • segretaria di edizione Giulia Giordano
  • con Marcello Fonte, Giampiero Judica e la partecipazione degli occupanti del teatro Valle e degli abitanti di Roma
  • organizzazione Paolo Giovannucci e Daniele Natali

Roma è occupata da ogni passo, il piede camminando occupa fulmineamente il suolo pubblico. Ma questa occupazione non fa notizia perché fulminea. I criteri dell’occupazione li scandisce il tempo. Ma nel caso dell’attore è il sentimento che dà i tempi alla sommossa. E’ possibile occupare stati d’animo attraverso l’interpretazione? E’ possibile occupare un sentimento come fosse spazio? Trattare la frustrazione a metro quadro? Due pesi due misure, il peso della tragedia e quello della distanza. Se lo spazio è distanza chi occupa uno spazio deve mantenersi lontano da sentimenti che non sono suoi. E’ quindi un film sulla dichiarazione di resa dell’attore, sulla futile speranza che un giorno occupazione e sentimento procedano distinti, è un film che parla di una possibilità remota, di una sconfitta annunciata: rinunciare all’interpretazione per dare più importanza ai metri che alle lacrime. E’ possibile immaginare l’attore che rinuncia all’interpretazione di sciagure che non vive, di gioie che non prova, di guerre che non ha combattuto, di malattie che non ha, di genitore di famiglia che non è, di amori che non sente, di morti che non ha mai pianto? E’ possibile immaginare un giorno l’attore interpretato finalmente da se stesso?

Il racconto, l’impegno sociale, la narrazione, fardelli che fanno meno agile lo spostamento, rendono più difficile la resistenza. Cinema, teatro, letteratura, televisione, occupati dai criteri abusivi dell’immedesimare. Sloggiare l’attore dagli stati d’animo di chi non vuole essere occupato, di chi non lo ha mai chiesto. Liberiamo la vita civile dalla rappresentazione. Questo il primo passo. E poi occupare ogni spazio, svincolati da sentimenti a noleggio.

In questo lungometraggio affrontiamo un sondaggio su un frammento di territorio romano per noi inesplorato; abbiamo percorso una traiettoria spontanea dal Teatro Valle all’Isola Tiberina, passando per Campo De Fiori, il Ghetto e (banco dei pegni) Largo Argentina. Durante il tragitto la realtà posturale e dialettica degli intervistati si trasforma continuamente, Roma è una metropoli che esiste in uno spazio tempo indefinibile, metaforico, interessante sotto il profilo estetico devastante a livello ideologico. Nel film, che racconta la deriva di due giorni in ordine cronologico, il teatro è l’antro scuro e sospeso che sopravvive all’umana convinzione di rinnovamento, i rivoluzionari intervistati, rapiti dall’ambiente e dalla loro professione, esprimono opinioni e immaginano soluzioni avvolti nelle belle mura magiche e universali come un tramonto. Il ritmo stridente – dentro il teatro – fuori tra le vie – va a chiarire il ruolo dell’attore e il suo rapporto con la società. Ma l’uomo della strada, spettatore di film moralisti e guerrafondai, celebra come professionista dello spettacolo e star del quotidiano Mara Venier, elemento ionizzante per tutti i ceti sociali.

Costi

ingresso gratuito