Appuntamento a Belleville

di Sylvain Chomet

Grottesco. Esagerato. Minimale. Grafico. Caricaturale. Burlesco. Satirico.

Tutto è iperbolico in Appuntamento a Belleville.

I contrasti dominano la scena e la misura non è di casa nel secondo lungometraggio del regista francese Sylvain Chomet. Occhi così grandi che del viso non lasciano intravvedere più nulla, così come i nasi lunghi e appuntiti più di una lancia. Il ventre degli animali e le pance degli uomini sono così gonfi e sformati che invadono le scenografie. La Statua della Libertà a New York si trasforma in una scultura di Fernando Botero. I mafiosi americani sono neri armadi rettangolari. È un mondo surreale, onirico, quello che scorre davanti agli occhi quando si guarda Appuntamento a Belleville, eppure si scoprono briciole di verità, nascoste.

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Champion è un bambino, triste, silenzioso e grassottello, che vive in una casa più alta che larga nella campagna intorno a Parigi. Orfano, ricorda i genitori scomparsi guardando una fotografia che li ritrae in bicicletta e da quella memoria nasce l'unica cosa che gli procura gioia: il pedalare.

La nonna, Madame Souza, per cercare di rallegrare il nipote inizialmente gli dona un cucciolo di cane, Bruno, ma nulla sembra colpire la mente e il cuore del piccolo nipote, fino a quando Madame scopre la sua vera passione e gli regala un triciclo. Da quel momento tutto cambia e i ruoli si definiscono: Madame Souza diventa l’allenatrice personale del piccolo Champion, che crescendo dimagrisce e irrobustisce i muscoli. Ormai adulto è pronto per il Grand Tour de France. Durante la scalata più difficile Champion cede alla stanchezza e viene rapito da due stravaganti personaggi dalle larghe spalle e portato nella megalopoli di Belleville. Ma nessuno può mettere in un angolo la portentosa nonna di Champion, che attraverso incontri stravaganti, fortune inaspettate, grotteschi personaggi arriva al posto giusto nel momento giusto.

Appuntamento a Belleville è un film di animazione senza parole, sulla scia dei film muti all’origine della settima arte. Le parole non servono. Le espressioni dei visi, i movimenti dei personaggi, le loro caratteristiche fisiche riempiono la scena e la interpretano dando significato alla quasi totale assenza dei dialoghi. Il disegno è quello della Disney degli anni ‘60 del Novecento soprattutto de La carica dei cento e uno: l’animazione digitale è riservata a piccole parti o figure, tutto è disegnato secondo il gusto dell’artefatto. Si respira il senso della manualità, la voglia di procedere a mano nonostante i tempi possano regalare effetti più ‘straordinari’.

Fin dall’inizio di Passaggio a Belleville, la vera protagonista è la colonna sonora. Il film si apre con un flashback in bianco e nero sui trionfi canori di Rendez-vous à Belleville delle Triplettes, tre giovani cantanti che si rivedranno nel proseguo della storia, insieme ad una sexy Josephine Baker in gonnellino di banane e a un piroettante Fred Astaire, divorato dalle proprie scarpe, citando Chi ha incastrato Roger Rabbit. Musicalità come un filo rosso che attraversa tutto lo svolgersi della narrazione sia con il ritmico fischiettare della nonnina per incitare la pedalata del nipote sia nella grandiosa traversata dell’Oceano Atlantico a suon di Mozart o nelle corse di macchine per le strade di Belleville. La musica è la costante, il ritmo la melodia.

Se la colonna sonora riesce nell’intento di immergere lo spettatore, Appuntamento a Belleville pecca nella costruzione dei personaggi. Lo stesso Champion quasi si perde nello scorrere della storia tra le molte figure disegnate così come i mafiosi dalle grandi spalle che lo rapiscono per biechi giochi di scommesse, non riescono ad incutere la giusta sensazione. Anche Madame Souza, dai grandi occhi che tutto scrutano, dal fischietto onnipresente in bocca, non riesce a bucare lo schermo. Bruno, il cane morbido e dolce che aspetta sempre il suo padrone, è forse quello meglio tratteggiato: la sua insofferenza per i treni, simbolo del dolore provato da cucciolo con il passaggio di una locomotiva sulla propria coda, trova un’espressione di chiara vena umoristica che costeggia tutto il film.

Quello che rimane impresso negli occhi sono i contrasti e gli aspetti grotteschi che mettono in satira caratteristiche umane e geografiche rivelando piccoli squarci di verità in un’atmosfera musicale ben riuscita.

parte di: ANIMA

22/02/2021