Alleanza franco-bizantina

05/09/2014 Administrator User
Argomento
Alleanza franco-bizantina
Testo

Dopo l'iniziale serie di assalti alla propria sovranità che portò in pochi anni alla perdita dell'intera Italia padana, Bisanzio tentò di reagire anche militarmente e dal 580 si assiste ad una serie di attacchi che portarono il dominio longobardo sull'orlo della distruzione.
Già forse prima però la nostra regione fu oggetto di una invasione che portò i Franchi guidati dal duca Cranmichi ad occupare il già ricordato castrum Anagnis ( dichiarato da Paolo Diacono "ai confini d'Italia" e che probabilmente è l'attuale Nanno – con qualche dubbio a favore della zona di Sanzeno –, ma potrebbe indicare il territorio dalla piazzaforte difeso, cioè l'intera Anaunia: si ricordi il "loco Anagnis" del frammento di Secondo e si tenga presente la posizione di Nanno, chiusura e controllo delle valli di Sole e di Non e perno naturale del sistema difensivo che certamente esisteva a protezione di tutta la zona). L'occupazione di Nanno (o dell'intera valle), che potrebbe essere stata pacifica (e le parole del testo lo fanno supporre), se, come i più ritengono, era controllata ancora (come altri luoghi tra le Alpi) dai Bizantini, che avevano tutto l'interesse a sostenere un attacco franco alle posizioni del nemico, provocò la reazione longobarda con una spedizione guidata dal conte "de Lagare" Ragilone, luogotenente di Evino in val Lagarina e suo comandante militare, che espugnò Nanno; ma al ritorno egli si scontrò con le truppe di Cranmichi nella piana tra Mezzocorona e Mezzolombardo e fu sconfitto, rimanendo ucciso e le sue truppe distrutte. Ciò portò alla guerra aperta: dapprima ebbe la meglio l'invasore che occupò e devastò Trento, poi, riorganizzate le forze, Evino riuscì a bloccare il nemico a Salorno mentre tornava alle basi del nord (verosimilmente in Venosta, o comunque nella Rezia curiense) e ad annientarlo, salvando il ducato da altri pericoli.
La vicenda è di grande importanza perché ci permette di valutare la capacità organizzativa e di governo di Evino e la stabilità del dominio longobardo almeno in val d'Adige, che i Franchi ancora non erano in grado di occupare ma che avrebbero potuto far diventare loro riserva di caccia anche senza gli accordi con Costantinopoli che scatenarono un lungo periodo di lotte, nelle quali il Trentino fu coinvolto in particolare nel 590.
Si tratta della quarta (che durò dall'autunno 589 al settembre 590) e più pericolosa delle campagne franco-bizantine succedutesi dopo la salita al trono d'Oriente nel 582 di Maurizio, convinto assertore della restaurazione del principio d'autorità imperiale.
Nella prima fase della spedizione (autunno 589) i Franchi sbaragliarono in breve il nemico, che chiese la pace, ma senza esito immediato. Le operazioni tuttavia si interruppero fino alla primavera successiva, quando la guerra riprese con la discesa in Italia di numerose forze franche da più direttrici, mentre i Bizantini attaccavano da sud-est per chiudere in una morsa gli avversari e conquistavano importanti città (come Altino, Mantova, Modena, Parma, Piacenza, Reggio). Delle colonne franche ci interessa quella guidata dal duca Cedino che scese dalla Rezia curiense e dalla Venosta arrivando fino a Verona. Anche questa campagna però fallì, probabilmente, oltre che per i motivi climatici, sanitari e militari esposti da Paolo Diacono (caldo torrido, dissenteria, fame, impossibilità di espugnare Pavia ove era fortificato Autari), per equivoci e reciproca sfiducia tra gli alleati: tra l'altro era poco conveniente per i Franchi collaborare alla distruzione di un regno ancora incerto e meglio controllabile a favore di una potenza di respiro mondiale e pericolosa per le loro stesse mire espansionistiche. Pertanto si assiste ad un ennesimo cambiamento di scelte che portò alla pace tra i due re, lasciando soli i Bizantini che dovettero alla fine ritirarsi.
Nella discesa fino a Verona, l'esercito franco "in territorio tridentino" distrusse varie fortificazioni-rifugio e luoghi fortificati posti lungo l'asse dell'Adige e che sono identificati con Tesimo, Meltina, Sirmiano, Appiano, nell'attuale Alto Adige, Faedo (?), Cembra, Vezzano, Brentonico, Volargne (?, per altri Volano), Ennemase (ai confini meridionali del ducato, ma non ben localizzato). Inoltre ne abbattè due nella zona di Borgo Valsugana ed uno in quella di Verona. Di tutti portò via prigionieri gli occupanti, mentre i rifugiati sulla Verruca (Doss Trento) si salvarono pagando un riscatto.
Le devastazioni partono dunque appena oltrepassati i confini della regione sotto controllo longobardo: infatti la prima località citata è Tesimo, poco distante da Merano e posta in alto sulla valle verso Bolzano. Si scende poi lungo il ducato fino forse a Volargne e certamente al Baldo, con una deviazione logica in Valsugana per assicurarsi il fianco fino almeno a Borgo, allora verosimilmente ancora non unito a Trento.
La popolazione dei rifugi più lontani dalla capitale era quasi certamente composta da genti romanizzate (cittadini li chiama infatti Paolo Diacono, con evidente riferimento al valore che il termine aveva nell'Impero), pochi potendo essere i Longobardi, il cui esiguo numero li costringeva a non disperdersi, o i residui nuclei dei Goti ormai annientati. Comunemente si ritiene che il grosso delle truppe longobarde fosse dislocato nel campo della val Lagarina, donde era partita la spedizione in val di Non, e che spiegherebbe l'assenza di Evino da Trento quando i Franchi saccheggiarono la città. Il Lagare citato da Paolo Diacono altro non sarebbe che il Lager, campo trincerato militare dal quale prese il nome poi la valle.
Ciò può far comprendere l'apparente facilità con la quale i Franchi si impossessano dei centri di difesa, che cedono senza praticamente opporre resistenza fidando in promesse di pace poi non mantenute, mentre la Verruca, ben fortificata fin dai tempi di Teodorico, resiste e si salva, seppur con l'intervento della Chiesa e piegandosi a pagare un tributo. Così i trentini conservarono beni e persone, riprendendo liberamente le proprie attività, il nemico continuò la marcia senza intralci e perdite di tempo prezioso per il previsto ricongiungimento con l'alleato. Il comportamento franco, così come nelle precedenti campagne, appare tuttavia più coerente con la mentalità dell'incursore che con quella del conquistatore, forse perché l'accordo con gli imperiali non ne prevedeva uno stabile insediamento in questa zona, causa non ultima dei successivi disaccordi che portarono al fallimento dell'impresa.
Il pagamento, che Paolo afferma aver raggiunto i seicento solidi (aurei), fa pensare che oltre a molta gente comune, fossero rifugiati sul colle anche cittadini abbienti e per la difesa certamente guerrieri longobardi (e famiglie) come esigeva la condizione di capitale (politica e religiosa) che aveva Trento ed ha fatto dubitare, sulla base anche di altri elementi, che già a quell'epoca vi fosse in città una certa agiatezza o che addirittura vi esistesse una zecca, per quanto piccola.

Da
580 d.C.
A
590 d.C.
Personaggi
Maurizio , Evino , Paolo Diacono , Ragilone , Cedino
Codice
48581
codici_personaggi_as_text
50569-50570-50571-50577-50578
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