Antichi e nuovi contrasti politici nei governi vescovili del Settecento

05/09/2014 Administrator User
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Antichi e nuovi contrasti politici nei governi vescovili del Settecento
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Il governo di Giovanni Michele Spaur – membro di una delle più illustri famiglie dell'antica nobiltà trentina, dotata del titolo comitale e investita di castelli e ampi possessi feudali nella Val d'Adige a nord di Trento e in Val di Non – si situa cronologicamente (1696 - 1725) a cavallo tra il secolo della Controriforma e quello dei Lumi. Si trattò di un episcopato lungo, contraddistinto in particolare da due elementi: un'amministrazione spirituale attiva e vigile – visitò l'intera diocesi – e una direzione politica contrastata, in particolare dal corpo capitolare. Per quanto concerne il primo aspetto, il vescovo mostrò una sensibilità tipica ancora del periodo controriformista, con la consacrazione di numerose chiese e l'incentivazione del culto dei santi, oltre a interventi contro le degenerazioni della vita religiosa, in particolare controllando la disciplina sacerdotale. Le accuse dei canonici, in un'epoca che aveva conferito grande potere ai capitoli dell'impero, si appuntarono, per quanto riguardava il governo temporale, contro quella che appariva come una gestione troppo personale del vescovo, con larghe interferenze dei familiari dello stesso. Si trattava di uno stile di governo caratteristico dell'età barocca, il quale peraltro si protrasse per tutto il secolo finale dell'antico regime, dove le relazioni familiari e individuali avevano un peso determinante nel conferimento delle cariche amministrative. Preoccupante per il capitolo tridentino fu il tentativo, poi esauritosi a causa della morte del principe, di far accettare il nipote Giovanni Michele Venceslao Spaur, già vicario generale e suo suffraganeo, come coadiutore con diritto di futura successione; evento che nei canonici evocò con timore l'episcopato ereditario di madruzziana memoria.
Con Giovanni Benedetto Gentilotti, eletto nel 1725 e deceduto mentre era ancora a Roma pochi giorni dopo la nomina, i canonici di Trento intendevano probabilmente affidarsi a un uomo al di sopra delle fazioni e di grandi meriti intellettuali, benché ancora allo stato laicale. Aveva studiato a Salisburgo, Innsbruck e Roma; a Salisburgo era stato poi richiamato dall'arcivescovo Giovanni Ernesto Thun come consigliere aulico, passando quindi a Vienna come prefetto della cesarea biblioteca. A Roma, al momento della nomina, svolgeva il compito di Uditore di Rota per la nazione germanica. Ampia fu la sua erudizione ed estesi i suoi rapporti con personalità della cultura del tempo. Gentilotti collaborò e fu in contatto anche con il modenese Ludovico Antonio Muratori, le cui opere ebbero grande diffusione nei territori asburgici e contribuirono a quello che è stato definito come un primo illuminismo di matrice cattolica, una corrente riformista che operò per purificare la religiosità dalla superstizione e dalle forme di devozione esteriori legate alle concezioni controriformiste (come in Della regolata divozione de' cristiani, 1747).
La nomina di Antonio Domenico Wolkenstein, il cui governo durò solo dal 1725 al 1730, decretava il ritorno sul soglio vescovile trentino di un altro esponente dell'antica nobiltà regionale. Nessuno studio specifico è stato condotto sull'amministrazione del principato e della diocesi da parte di questo prelato. Le poche notizie su di lui lo descrivono come un soggetto amato, caratterizzato da zelo pastorale e da pietà religiosa. Sotto il suo episcopato Trento si trovò a doversi difendere dal progetto di essere dichiarata chiesa suffraganea di Salisburgo, staccandosi dunque dalla secolare dipendenza da Aquileia e finendo sotto la tutela di un arcivescovato controllato da casa d'Austria, con pregiudizi alla propria autonomia.
Fu il lungo episcopato di Domenico Antonio Thun a segnare lo spartiacque tra barocco ed età delle riforme nella diocesi e nel principato tridentino. Contro un governo vescovile degenerato dopo alcuni anni di buona amministrazione insorse la parte del capitolo in contatto con gli ambienti riformisti viennesi guidata dal decano Passi, che si rivolse a Roma denunciando corruzione e disordini. Il vescovo – stando almeno alle fonti – quasi ignaro della sorte che gli spettava, nella primavera del 1748 fu indotto da un inviato del governo tirolese a firmare un documento, che in pratica lo esautorava dal potere effettivo cedendo tutto a un coadiutore plenipotenziario. Quest'ultimo fu individuato dal capitolo in un soggetto appartenente a un casato influente della regione, Leopoldo Ernesto Firmian, vescovo di Seckau in Stiria ed esponente di un clero che aveva recepito la lezione muratoriana ed era ben visto dalla corte viennese. Le sue riforme nella sfera spirituale furono volte a una moralizzazione del clero - compì anche una visita pastorale alla diocesi - e a un suo maggiore controllo da parte delle autorità ecclesiastiche superiori; nell'ambito politico egli operò per un rinnovamento degli organi di governo del principato, rendendoli maggiormente dipendenti dall'autorità vescovile e togliendo vigore all'influenza dei due ‘corpi' che da sempre tendevano a limitarne l'autorità: il capitolo e il magistrato consolare. Leopoldo Ernesto Firmian si trovò inoltre nella difficile posizione di mediatore fra la tradizione autonomista del principato – sostenuta in particolare proprio dai canonici e dai consoli cittadini – e le mosse accentratrici dei sovrani illuminati di casa d'Austria, che intendevano includere l'intero territorio trentino entro la propria sfera di influenza economica, inducendo lo stesso ad accogliere le riforme in atto nei territori ereditari della monarchia. Furono le ostilità dei ‘corpi' del principato, insieme a quelle delle fazioni che li pilotavano, a indurre il coadiutore a rinunciare nel 1755 al proprio compito.
La nomina di Francesco Felice Alberti d'Enno a coadiutore (vescovo dal 1758, dopo la morte del vecchio Domenico Antonio Thun) rassicurò coloro che avevano nutrito timori a causa delle innovazioni apportate dal Firmian. Alberti, esponente di quell'aristocrazia cittadina che, insediata nel capitolo e nel magistrato consolare, più temeva i rivolgimenti e l'avvicinamento alla volontà di Vienna, provvide immediatamente ad azzerare le novità introdotte dal predecessore. Francesco Felice difese fortemente l'autonomia del principato di fronte alle pressioni di casa d'Austria e ingaggiò inoltre, sostenuto dal magistrato consolare, un contenzioso con Girolamo Tartarotti, reo di aver smontato, con i suoi studi eruditi posti al servizio di una maggior oggettività storica, alcune false interpretazioni di eventi locali da parte della chiesa tridentina, tra cui quello del martirio di S. Adalpreto, vescovo del XII secolo morto in battaglia e assurto poi a nume tutelare della città di Trento (Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto Vescovo di Trento, 1754).
Il tentativo di una rifondazione dell'autorità vescovile meno condizionata dagli influssi capitolari e consolari, venne ripreso da Cristoforo Sizzo, succeduto nel 1763 all'Alberti per nomina papale, in quanto non si sbloccavano le posizioni dei canonici divisi su due altri candidati. Il suo fu un governo equilibrato, che ripercorse alcune delle strade tentate dal Firmian per riordinare l'amministrazione vescovile. Per questo motivo in talune occasioni le prese di posizione vescovili suscitarono allarme nei ‘corpi' che partecipavano alla gestione degli affari politico-economici e che erano garantiti nelle loro prerogative solo dal mantenimento dello status quo. Apprezzato dalle medesime forze che volevano mantenere l'autonomia del principato fu invece l'operato del vescovo per mitigare gli svantaggi che, almeno a breve termine, portavano i mutamenti introdotti da Vienna nel territorio trentino, coinvolgendo anche il principato vescovile. Conseguenza della politica daziaria teresiana fu ad esempio il tumulto scoppiato al dazio di Tempesta, nelle Giudicarie, che si concluse con dure condanne ed esecuzioni. Alcuni dei nodi che Cristoforo Sizzo non riuscì a risolvere nel braccio di ferro tra spinte riformiste asburgiche e conservatorismo degli ambienti capitolari e consolari tridentini furono ereditati dal successivo governo vescovile.
Pietro Vigilio Thun venne eletto nel 1776. L'unanimità dei voti capitolari in suo favore non faceva presagire che si stesse per aprire uno degli episcopati più travagliati della chiesa tridentina, conclusosi inoltre con la secolarizzazione del principato e la fine del potere temporale dei vescovi di Trento. Il nuovo vescovo provvide subito a regolare le maggiori pendenze nei confronti di casa d'Austria stipulando con l'imperatrice Maria Teresa il trattato del 1777. Esso diede finalmente via libera alle operazioni, più volte procrastinate, per l'introduzione del catasto anche nel principato, superando l'ostruzionismo della nobiltà e del clero, i quali con la vecchia perequazione mantenevano forti esenzioni fiscali. Questa e altre clausole del trattato fecero ricadere il principato entro l'area economica e fiscale tirolese, anche se, per quanto riguarda la propria autorità principesca, il vescovo fu intransigente nell'opporsi a prevaricazioni anche da parte di Vienna. Il suo fu un governo improntato a forme assolutistiche impossibili a realizzarsi in un principato come quello tridentino, dove il vescovo aveva necessità di patteggiare la conduzione politica con i ‘corpi' politici concorrenti. L'opposizione capitolare a Pietro Vigilio fu immediata e si protrasse per tutto il suo episcopato; i canonici tentarono inutilmente di imporgli un coadiutore, come era accaduto allo zio Domenico Antonio Thun. All'ostilità del capitolo si aggiunse quella dei consoli, in un susseguirsi di cause aperte dai contendenti presso i tribunali dell'impero. L'azione del vescovo, ammodernatrice e sensibile alle nuove esigenze del tempo ma condotta con criteri dispotici e lasciando troppo spazio a carenze amministrative e malversazioni, rimase incompiuta. Questa fu anche la sorte del suo progetto riformista più ardito: togliere importanza al vetusto ma ancora vigente Statuto di Trento di epoca clesiana, facendo compilare al proprio consigliere (poi cancelliere) Francesco Vigilio Barbacovi un moderno codice civile, ispirato a quello recentemente emanato nei territori di casa d'Austria, di cui era stato artefice il giurista trentino Carlo Antonio Martini. Il codice non venne applicato a Trento a causa dell'opposizione dei consoli, dei quali esso limitava le antiche prerogative. Tra accese polemiche e lotte tra le fazioni e tra i personaggi politici più in vista, il principato vescovile si avviò al tramonto. Riparato nei territori imperiali con la prima invasione francese, Pietro Vigilio Thun ritornò poi nel principato ma, impossibilitato a riprendere il proprio ruolo a causa del sequestro operato da casa d'Austria, terminò i propri giorni a castel Thun, in val di Non, dove morì nel gennaio del 1800. Il suo successore, il cugino Emanuele Maria Thun, eletto nel mese di aprile, non ottenne più l'investitura del governo temporale del principato e rivestì dunque solo il ruolo di guida spirituale. Avrebbe poi combattuto con energia, fino a scegliere l'esilio, le limitazioni all'autorità ecclesiastica imposte dal governo bavarese negli anni 1805 – 1809.

Da
1700
A
1800
Personaggi
Francesco Felice Alberti d'Enno , Barbacovi Francesco Vigilio , Gentilotti Benedetto , Cristoforo Sizzo de Noris , Giovanni Michele Spaur , Domenico Antonio Thun , Emanuele Maria Thun , Pietro Vigilio Thun , Antonio Domenico Wolkenstein , Tartarotti Girolamo
Codice
48648
codici_personaggi_as_text
50392-50400-50429-50435-50487-50489-50492-50493-50495-50503-50630-50633
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