Gli Asburgo, l'impero, il principato

05/09/2014 Administrator User
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Gli Asburgo, l'impero, il principato
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Il XVIII secolo si aprì con un grande conflitto che coinvolse i maggiori stati europei e del quale subì le conseguenze anche il territorio trentino. La guerra di successione spagnola (1700 - 1714) - sul trono dell'ultimo Asburgo di Spagna, Carlo II, rimasto senza eredi, si lanciarono pretendenti francesi, austriaci, bavaresi - vide nel settembre 1703, durante il vescovato di Giovanni Michele Spaur, l'assedio di Trento da parte del generale Vendôme, diretto a nord per congiungere le proprie truppe a quelle bavaresi. Dal Dos Trento la città subì un bombardamento che le inferse notevoli ferite, anche se le truppe francesi abbandonarono di lì a poco le loro postazioni retrocedendo e rinunciando alla marcia attraverso il Tirolo.
Il 1713 segnò un avvenimento di centrale importanza per i territori ereditari asburgici e quindi, indirettamente e negli anni a venire, anche per i principati vescovili che, come Trento, gravitavano nella sfera di influenza di casa d'Austria. L'imperatore Carlo VI, attraverso la «Prammatica sanzione», volle assicurare la successione al trono alla figlia primogenita Maria Teresa, facendo sì che divenisse l'unica erede dei territori della monarchia. Tale atto, che sancì l'indivisibilità delle terre della corona (fino ad allora le diverse province erano state spesso affidate a rami collaterali del casato), richiese qualche decennio per essere accettato e sottoscritto dagli altri stati europei, molti dei quali avrebbero potuto altrimenti vantare diritti sui domini asburgici. Tuttavia ciò non tutelò a sufficienza Maria Teresa quando nel 1740 salì al trono, in quanto immediatamente, alimentata dalla Prussia, scoppiò la guerra di successione austriaca (1740 - 1748). L'impegno bellico che, a causa della giovane età della sovrana e delle sue difficoltà economiche, faceva prevedere una rapida sconfitta e dunque lo sfaldamento dei territori ereditari, agì invece da elemento propulsore. Innanzi tutto esso convogliò anche le forze della monarchia tradizionalmente autonomiste (come l'Ungheria) in una sorta di solidarietà dinastica. In seguito, con il placarsi del pericolo più immediato, rese evidente a Maria Teresa la necessità di rendere più coesi i propri domini, in modo da poter contare su un costante gettito fiscale e disporre quindi di un esercito adatto alle esigenze del tempo. Il grande disegno teresiano si sviluppò nella stagione cosiddetta dell'assolutismo illuminato, dove al centro dell'azione dei sovrani vi era una vasta opera riformista, tesa al consolidamento delle strutture dello stato e a formare dei sudditi istruiti e cooperanti a tale progetto di ammodernamento.
Il Tirolo, che già nella seconda metà del Seicento era stato attirato nell'orbita statale dai primi tentativi di accentramento operati dall'imperatore Leopoldo I (un processo proseguito sotto Giuseppe I e Carlo VI), con Maria Teresa e con suo figlio Giuseppe II affrontò al pari delle altre terre asburgiche un'età densa di mutamenti, che vide uscire sconfitto il già vacillante potere dei ‘ceti' e che doveva poi portare, attraverso la Rivoluzione francese e gli sconvolgimenti dell'epoca napoleonica, alla caduta dell'antico regime europeo. I principati ecclesiastici dell'impero romano-germanico, tra cui quello di Trento, e la stessa compagine imperiale non sopravvissero a tali eventi.
Né da parte di Maria Teresa, né da parte di Giuseppe II si programmò un incameramento dei principati vescovili di Trento e Bressanone; il secondo addirittura rifiutò una simile offerta inoltratagli dal principe vescovo Pietro Vigilio Thun nel 1781. Certamente però i due monarchi fecero pressione affinché le terre vescovili accogliessero le riforme in atto nei territori ereditari, in modo da non costituire un intralcio (erano ormai praticamente delle enclavi entro la contea del Tirolo) alla desiderata uniformità economica e amministrativa della regione.
Secondo le concezioni dei ministri di Maria Teresa, le diverse province della monarchia non potevano più avere amministrazioni, ordinamenti giuridici, sistemi economici differenti le une dalle altre. Ogni luogo all'interno di ogni provincia doveva inoltre essere coordinato con gli organi di governo statali e, attraverso questi, con la corte di Vienna. L'istituzione degli Uffici Circolari in Tirolo, nel 1754, costituì una delle più importanti tappe in questo processo di accentramento. Il principato vescovile di Trento ne fu esente, in virtù della propria autonomia e della dipendenza dall'impero romano-germanico. Le altre terre dell'odierno Trentino che erano da secoli sotto la contea del Tirolo furono invece riunite nel cosiddetto Circolo ai Confini d'Italia, con capoluogo Rovereto.
Un'altra grande operazione di ammodernamento fu realizzata da Maria Teresa con l'istituzione del catasto (divenuto poi noto appunto come ‘catasto teresiano'), che aveva lo scopo di descrivere mediante criteri moderni la distribuzione delle proprietà, inducendo ogni suddito a contribuire secondo il dovuto e togliendo le molte esenzioni che caratterizzavanto un'età come l'antico regime, basata ancora su privilegi di origine feudale.
Anche nell'ambito più strettamente economico ciò che mosse la sovrana fu la necessità di uniformare le troppo separate province della monarchia. Fu potenziata e migliorata l'agricoltura tramite bonifiche di terreni paludosi e l'istituzione di società agrarie che dovevano istruire i contadini circa un più corretto sfruttamento della terra e, nel settore commerciale, vennero eliminate le numerose stazioni doganali interne, che imbrigliavano la libera circolazione delle merci e disperdevano gli introiti daziari in mille rivoli. Nello stesso tempo fu incentivata la produzione interna e di rimando, secondo principi mercantilisti, furono applicati dazi elevati sulle merci in entrata. Un programma economico che, almeno a breve termine, sembrò danneggiare la contea del Tirolo, dal momento che il commercio di transito costituiva una delle poche voci tradizionalmente attive dell'economia locale. Nel principato vescovile di Trento le nuove tariffe daziarie provocarono numerose proteste dei commercianti, mentre nelle valli Giudicarie l'erezione di un dazio austriaco fece scoppiare addirittura una ribellione, subito stroncata con durezza.
Accolta spesso con disappunto da parte delle comunità locali, fortemente ancorate alla tradizione, fu all'inizio anche la riforma che, tra le molte intraprese, diede forse più lustro alla grande sovrana: l'emanazione nel 1774 della Allgemeine Schulordnung, l'ordinamento scolastico che doveva garantire a tutti la capacità di leggere e scrivere. Varato con lo scopo di fornire sudditi obbedienti – grande peso fu conferito ai valori religiosi – ma altresì forniti di un'istruzione di base, esso fu uno dei lasciti più cospicui e duraturi dell'età teresiana anche nella nostra regione. La prima Hauptschule del territorio trentino , la "Cesarea Regia Scuola Normale ai Confini d'Italia", nacque a Rovereto e fu diretta dal sacerdote Giovanni Marchetti, che aveva appreso la nuova metodologia scolastica presso il centro formativo di Innsbruck.
In linea con l'importanza attribuita da Maria Teresa a un'educazione basata su fondamenti autenticamente religiosi, fu l'azione della sovrana diretta a favorire il formarsi di una spiritualità più sincera, priva di quelle forme esteriori tipiche della ancora viva tradizione barocca. Di qui la proibizione – spesso osteggiata dalle popolazioni del Tirolo – delle manifestazioni più superficiali del culto, come pellegrinaggi, processioni, sacre rappresentazioni, che spesso si trasformavano in bagordi e sfoghi collettivi poco controllabili. Di qui anche l'abolizione delle troppo numerose feste che appesantivano il calendario provocando ozio piuttosto che alimentare la devozione.
L'azione riformista di Maria Teresa fu dunque di grande portata e non era destinata a risolversi nel pur lungo periodo di governo della sovrana. Gli impegni bellici dei suoi primi anni di regno e le difficoltà nel reperire sufficienti risorse economiche fecero sì che l'opera riorganizzatrice della compagine statale procedesse a rilento. In molti casi fu invece lo scarso entusiasmo dei sudditi, se non la loro aperta opposizione, a frenare l'imperatrice, la quale si rese conto che era più produttivo non forzare la mano e talvolta recedere da qualche intervento più drastico e in pratica tollerare le sacche di tacito ostruzionismo.
Fu dunque un modo di procedere moderato e attento alle reazioni delle popolazioni, una via che non seppe praticare il figlio dell'imperatrice, Giuseppe II. Il suo zelo di monarca-burocrate, postosi sinceramente al servizio del ‘bene' dei sudditi, ma freddo e distante dalla quotidianità nella sua intenzione di porre tutto sotto il rigoroso controllo stataele, gli valse severe critiche e in qualche caso aperte opposizioni. Soprattutto a causa della sua politica ecclesiastica – osteggiata in particolare nel tradizionalista e religioso Tirolo – che intendeva fare anche dei sacerdoti servitori dello stato e che giunse a intromettersi nelle forme del culto, prescrivendo fin lo stile negli addobbi degli altari durante le cerimonie religiose.
Meno che mai gli valse la simpatia dei tirolesi il tentativo di introdurre la coscrizione obbligatoria – progetto poi prudentemente abbandonato a causa delle defezioni – in un paese che era abituato a mobilitarsi spontaneamente tramite i propri Landesschützen, ma che prevedeva ciò solo per la difesa dei patri confini, non per motivi offensivi e mediante un servizio militare stabile.
I progetti riformisti attuati nei territori della monarchia asburgica ebbero inoltre l'effetto di allontanare Giuseppe II dai suoi compiti come imperatore romano-germanico. Mentre anche gli altri grandi territori imperiali (la Prussia e la Baviera furono casi emblematici) operavano ormai di fatto come entità statali autonome e svincolate dall'ordine imperiale, furono i principati ecclesiastici, gli organi più deboli della compagine romano-germanica, a farne le spese. Spesso l'imperatore infatti, piuttosto che non quale loro difensore (come era all'origine dell'istituzione sacro romano imperiale), scavalcò i diritti vescovili per poter realizzare il consolidamento dei propri territori ereditari. Fu così ad esempio con il riordino diocesano e il tentativo di estromissione del potere spirituale dei vescovi dell'impero dalle terre asburgiche, sostituendo quei prelati con altri controllati da casa d'Austria. I principati vescovili di Trento e Bressanone invece erano ormai così strettamente legati al Tirolo che non subirono effetti negativi da tale riordino: Trento non perse nulla e nel 1785 ottenne invece l'aggregazione della Valsugana che era da sempre legata alla diocesi di Feltre.
Il quadro politico a Trento nel Settecento appariva intanto ormai accentuatamente diverso rispetto a come si presentava nel Cinquecento e nella prima metà del Seicento. Due erano i poli che, pur influenti da secoli all'interno della struttura istituzionale del principato, avevano assunto un ruolo determinante e concorrente all'autorità vescovile nella sua conduzione: il capitolo e il magistrato consolare cittadino. Se per quanto riguarda il primo organo il principato tridentino condivideva la sorte degli altri territori ecclesiastici dell'impero, dove i canonici tra Sei e Settecento si erano impossessati di sempre maggiori prerogative di governo, rispetto al magistrato consolare la situazione tridentina si presentava con una sua più spiccata peculiarità. Non era infatti così consueto nelle città dell'impero (a meno che non avessero il rango di Reichsstädte, ‘città imperiali', con diritto di rappresentanza alla dieta), che una magistratura cittadina fosse giunta ad ambiti di potere effettivi così vasti come a Trento. Ciò era stato reso possibile dai secolari contrasti del vescovo principe con il conte del Tirolo; a quest'ultimo spesso si erano appoggiati i consoli per ampliare i propri diritti, i quali poi non si erano potuti più cancellare, nemmeno dall'ultimo e più autoritario governo principesco-vescovile. Un certo peso aveva avuto inoltre la vicinanza e quindi il modello delle città della pianura italiana, rette da forti ceti patrizi che a Trento si intendeva imitare. Nel corso del Settecento l'aristocrazia locale, tramite l'emanazione di appropriati regolamenti elettorali, non solo aveva escluso gli altri ceti non nobili (artigiani e mercanti) dal governo della città, ma aveva costituito al proprio interno un patriziato formato da poche decine di famiglie, dalle quali scaturivano costantemente i consoli cittadini. Il regionalizzarsi del capitolo, cioè l'essere esso non più costituito da canonici provenienti dai territori dell'impero, e l'ingresso nello stesso di membri dei casati patrizi della città, tutto ciò aveva poi dato luogo a una certa alleanza tra canonici e consoli, ai danni dei principi tridentini che avrebbero voluto governare solo tramite i propri organi e in particolare per mezzo del consiglio aulico vescovile.
Furono questi contrasti a fare da sfondo al declino del principato soprattutto durante il governo dell'ultimo vescovo, mentre i due giuristi più noti del tempo, Carlo Antonio Pilati e Francesco Vigilio Barbacovi, si impegnavano nella difesa dei due interessi contrapposti, in occasione delle numerose cause aperte presso i tribunali imperiali: Pilati in nome dei diritti dei consoli, Barbacovi (prima consigliere e poi cancelliere) in favore dell'autorità del proprio signore, cui egli voleva restituire la propria originaria, ma ormai all'atto pratico affievolita, autorità.

Da
1700
A
1785
Personaggi
Barbacovi Francesco Vigilio , Carlo VI , Giuseppe II , Leopoldo I , Maria Teresa , Pilati Carlo Antonio , Giovanni Michele Spaur , Pietro Vigilio Thun , Marchetti Giovanni
Codice
48646
codici_personaggi_as_text
50400-50407-50443-50453-50464-50471-50489-50495-50632
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