I fuochi degli dei

Gli archeologi li chiamano “fuochi degli dei”, ma cosa sono?

A partire dal XIII secolo a.C., nelle fasi recenti dell’età del Bronzo, sono documentati in area alpina santuari all’aperto noti con il nome di Brandopferplätze.  Si tratta di luoghi di culto contraddistinti dall’accensione di fuochi, dal sacrificio di animali e dall’offerta di recipienti ceramici, oggetti in metallo e prodotti agricoli.  Caratteristici di questi roghi votivi sono i boccali in ceramica riccamente decorati che venivano frantumati intenzionalmente durante le libagioni rituali.

Questi oggetti identificano un aspetto culturale locale detto “cultura Luco-Meluno” che si sviluppò in Trentino Alto Adige, in Engadina e in Tirolo orientale tra XII secolo e XI secolo a.C., nel periodo di massima fioritura dell’attività metallurgica.  In Val di Non le ricerche condotte sul Monte Ozol, ai Campi Neri di Cles e a Brez, hanno portato alla luce numerosi Brandopferplätze.  Sul Monte Ozol, in particolare, è stata rinvenuta una grande quantità di depositi di terra carboniosa, boccali in terracotta frantumati e ossa bruciate che testimoniano cerimonie rituali con l’accensione di roghi votivi.  Il Monte diventerà poi, durante il VI secolo a.C., un importante centro artigianale di lavorazione del bronzo. 


16/04/2020