Darkness

Kino

Usa/Spagna, 2002
Genere: Horror
Durata: 102'
Regia: Jaume Balagueró
Cast: Anna Paquin, Lena Olin, Iain Glen, Giancarlo Giannini

C’è qualcosa in questa casa... qualcosa di antico e oscuro che rimane immobile, nascosto e silenzioso. Il suo ambiente è l’oscurità. Vive qui da quando qualcuno ha cercato di chiamarlo, oltre quarant’anni fa. Perché questa casa nasconde un segreto, un passato terribile, un atto inconcepibilmente malvagio. Una nuova famiglia si è appena trasferita nella casa. Un bambino piccolo. Un padre instabile, capace di perdere la pazienza in ogni momento. Un obiettivo perfetto.

di Katiusha Salerno
Nameless atto secondo. Il giovane regista spagnolo Jaume Balaguerò prosegue con Darkness il discorso interrotto con il suo primo film. E cerca di mantenerne le pro(/e)messe. Ancora sette votate a Satana, ancora bambini morti e/o considerati tali, ancora mistero (fittizio più che fitto), ancora paura, corruzione, tradimento, assurdità.
Balaguerò prosegue dunque sulla strada dell'orrore raccontando di una famiglia alle prese con i misteri nascosti nel buio delle stanze di una casa che sembra costruita sulle rovine dell'Overlook Hotel.
Al padre non manca la sindrome di Jack Torrance (sempre Shining) che usa per terrorizzare quel figlio che il suo modello (fatto rivivere nel film di Balaguerò da quello stesso Giancarlo Giannini che dava la voce italiana al folle Nicholson) non era riuscito a uccidere; al figlio decenne viene data in dono una sorta di 'luccicanza' che gli permette di vedere bambini cloni delle gemelle di Diane Arbus e, infine, alla sorella adolescente viene affidato quell'istinto materno proprio della Wendy kubrickiana che sembra non voler appartenere alle razionali mamme post-moderne, cinematografiche e non.
Trasferitasi nella casa edificata dal nulla, che rimane il luogo privilegiato nella tradizione horror per l'emergere delle visioni inquietanti (anche in Darkness il corridoio, la stanza del bambino, il bagno sono spazi contigui delimitati dall'obiettivo del regista che ne fa teatro circoscritto del terrore), l'allegra brigata si ritrova ben presto a fare i conti con la follia, tanto da spingere Balaguerò a dover attingere anche da altri film come ad esempio Il sesto senso da cui mutua spregiudicatamente la stuttura narrativa che dà al tutto la densità di un sogno. E come nei sogni, soprattutto quelli in cui predomina l'elemento persecutorio, le immagini si sovrappongono, perdono fuoco, si susseguono per pochi attimi a velocità disorientante come inserti subliminali demoniaci. Così, a un certo punto, non sono soltanto i personaggi nel film ad allucinare il reale, ma è il film medesimo ad allucinarlo, coinvolgendo nel calderone di simboli onirici anche l'esperienza reale dello spettatore.
Balaguerò visto il successo di Nameless ritorna dunque sul luogo del delitto cercando di smussare angoli individuati nella sua sopravvalutata opera prima. Chiede aiuto ai 'padri' e rispolvera tutte le tematiche di un genere che più volte è stato ritenuto ormai finito vista la sempre maggiore arguzia degli spettatori che individuano colpevoli e snodano matasse con crescente celerità rispetto a una lenta creatività di registi e sceneggiatori. Ma a Balaguerò sembra non interessare stupire a tutti i costi, cogliere di sorpresa. Semplicemente invita al godimento di un genere cinematografico che ha ancora voglia di divertire.
Invita tutti nel suo incubo peggiore dove non c'è nessun happy ending a risolvere il mistero, né a rincuorare lo spettatore che ha appena finito di dire "Avevo capito tutto fin dal primo istante".
Al posto della svolta catartica c'è un'ennesima citazione che ribalta il senso (senza alterarlo) dell'amplesso risolutore del treno che entra nella buia galleria del plurisaccheggiato Intrigo internazionale.

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