Giuseppe Penone: la possibilità della scultura

"La volontà di un rapporto paritario tra la mia persona e le cose è l'origine del mio lavoro. L'uomo non è spettatore o attore ma semplicemente natura" 

La volontà di un rapporto paritario tra la mia persona e le cose è l'origine del mio lavoro. L'uomo non è spettatore o attore ma semplicemente natura  (Giuseppe Penone)

"È una natura che genera e che insieme si origina come tale proprio nella prospettiva umana. La mano che afferra, come ancestrale azione per una primordiale sensazione tattile, inaugura una scissione fondamentale. Nell'attualità del sentire l'uomo si rivela a sé come senziente e, insieme, aliena quell'universo che gli è costitutivo imprimendogli, però, la propria impronta. Trattenendo la presa con la mano divenuta minerale in un'ininterrotta sintonia con i flussi e la forza di espansione del vegetale, si sprofonda nel tempo di crescita dell'albero che ha ricordato il gesto, la presenza dell'artista, il suo innesto che partecipa allo sviluppo di una forma non convenzionale per la scultura, capace di accogliere la metamorfosi come principio produttivo. L'artista agisce sulla propagazione del vegetale ed ogni volta che ne realizza un calco e una matrice in vista della sua fusione in bronzo, sembra aggiungere una nuova pelle alla corteccia come fosse un ulteriore anno di vita di quell'energia testimoniata dall'opera nella ritmica progressione delle forme della medesima pianta in diverse età. Una radiografia consente l'osservazione dell'invisibile, di attraversare la superficie dell'albero e la sua materia, di ritrovare con evidenza il persistere della mano affondata nel fusto, il suo gesto originario, la soglia di quel percepire che ha originato l'azione scultorea.

Con la medesima tecnica Penone ha radiografato il vuoto testimone di suoi gesti. All'interno della forma archetipica di alcuni vasi ha stretto della terra, l'ha spinta verso le pareti del contenitore, ha continuato a manipolarla e ne ha ricavato la possibilità di una nuova forma da intendersi come il negativo della superficie dell'armatura di creta da cui è partito. Liberata dall'involucro originario e destinata alla cottura, l'argilla non potrà che conservare i segni delle dita e delle pressioni esercitate dall'artista, impronte e vuoti che le lastre impressionate dai raggi X evidenziano come fantasmi rievocati dalla capacità di penetrazione del visivo consentita da un tubo röntgen. Il darsi alla luce dell'invisibile, così come la tecnica del chiaroscuro, è da intendersi nella esemplare complementarietà delle coppie che concorrono all'emergere di disegni e di modellati, possibilità del rovescio della materia in tutt'altro, o meglio nel proprio negativo che è “il tutto l'altro” dalla decisione di una forma.

Penone, però, giunge anche per altra via a declinare il rapporto tra visibile e invisibile. Le lunghe sagome con i disegni di un fico o di un sambuco sono i supporti per la stesura del carboncino. Tale materiale è il risultato di una fossilizzazione, come a voler ricondurre tautologicamente la possibilità del soggetto del disegno al materiale stesso che l'ha prodotto: alberi decomposti nel processo di carbonizzazione. In particolari condizioni di pressione e di assenza di luminosità si generano poi quei cristalli che sono occorsi all'artista per una speciale fusione così da realizzare una copia di rami proprio di un fico e di un sambuco. Queste preziose sculture sono adagiate in corrispondenza dei rispettivi lunghi disegni, sovrapposte ad essi, come in un ciclo generativo che restituisca una forma di pura luce (cristallina) all'ormai remoto elemento naturale dell'albero.

L'intrattenersi dell'artista sui principi basilari della scultura, sui suoi gesti primari e i materiali fondamentali, declinati in temi universali e avendo fiducia nel valore dell'autonomia dell'opera, appare del tutto coerente con il menzionato proposito avviato nella condizione sociale e culturale della seconda metà degli anni Sessanta. Il riferimento a quel contesto, però, non esaurisce la radicalità di una tale ricerca trascendentale della scultura, ossia l'indagine sulle sue stesse condizioni di possibilità a prescindere dalla contingenza del dato storico. Il lavoro di Penone è arcaico, ossia incarna l'arché, l'origine e l'essenza del fatto scultoreo, ne costituisce una possibile ontologia non condizionata da cronache o tendenze dell'attualità. E le opere si sviluppano in un tempo riferibile a ere geologiche e processi naturali, cicli che sono figurabili come orbite di cui c'è traccia tanto sulla pelle delle nostre dita quanto negli anelli degli alberi, nei reconditi disegni minerali delle stratificazioni rocciose o nelle onde di propagazione dei fluidi. In questa continuità e appartenenza dell'uomo alla natura si rivela lo spazio di libertà non solo espressiva che coglie l'incanto del mondo intero che si rivela, come afferma Penone stesso, come l'immagine della pelle dell'universo che si ritrova nel microcosmico specchio di grafite corrispondente alla punta di una matita:

Il riflesso ribalta il reale come nell'impronta di un contatto. La superficie che definisce il contatto del nostro corpo con il reale è la pelle 

Gianfranco Maraniello - direttore Mart e curatore della mostra

21/03/2016