Il ritratto ‘tascabile’

La carte de visite

Giovanni Battista Altadonna, Ritratto di donna, 1860-1865, carte de visite [ @AFS, Soprintendenza per i beni culturali, Provincia autonoma di Trento]

Nel nostro tempo, l’avvento dei social media ha spalancato le porte ad una inedita moltiplicazione e condivisione di fotografie di noi stessi e degli altri. La fortuna del ritratto fotografico, tuttavia, rimonta alle primissime origini della fotografia; un sostanziale impulso venne dopo la metà del XIX secolo, con l’avvento della stampa all’albumina.

Nel 1854, il fotografo André Adolphe Eugène Disdéri brevettò un apparecchio fotografico dotato di più obiettivi e di un porta-lastre scorrevole che permetteva di ottenere fino a otto diversi negativi su un’unica lastra, immortalando il soggetto in una varietà di pose. Questi piccoli ritratti, inizialmente a figura intera, venivano stampati su carta albuminata e montati su cartoncini delle dimensioni di 8 x 10 cm, conservati e scambiati come biglietti da visita. La leggerezza e la conseguente tendenza all’arrotolamento dei fogli albuminati rendeva infatti necessario incollarli su supporti, personalizzati con il nome del fotografo, che nel tempo si arricchirono di elementi decorativi e marchi elaborati, talvolta accompagnati da annunci commerciali, premi e onorificenze.

Il costo contenuto assicurò alle carte de visite un’immensa popolarità. Nel giro di pochi anni si diffusero anche speciali album rilegati con tasche di dimensioni standard che consentivano di raccogliere le effigi di familiari e congiunti.

Rispetto ai formati maggiori, in cui il fotografo poteva mettere alla prova le proprie capacità, anche affinando l’indagine psicologica della persona ritratta, le carte de visite rispondono generalmente ad ambizioni più modeste e spesso rivelano le difficoltà dovute alla lunghezza della posa. Nel 1940, il fotografo Enrico Unterveger, figlio di Giovanni Battista, parlerà severamente di “una quantità di figure in pose convenzionali, gravi, angolose”: “tanti volti che ci appaiono così stanchi o turbati, o quasi come oppressi da una malinconia morbosa, e tanti sguardi languidi, freddi che sembrano mirare un punto lontano: sguardi senz’anima, senza vita, senza espressione.” “Condizione essenziale per la buona riuscita del ritratto – infatti – era quella di reggere ben fermi. Una balaustrata o una colonnina di cartapesta servivano da punto di appoggio della persona mentre l’immancabile appoggiateste, dirizzando un puntello al capo ed uno verso i fianchi, doveva aiutare ad immobilizzare il modello. L’operatore dal canto suo si trovava sopratutto preoccupato dalla messa a punto dell’apparato, dalle cure per la preparazione della lastra sensibile e dal sovente capriccioso funzionamento dei preparati. Le raccomandazioni di non muoversi ed un ultimo categorico «fermo» intimato dall’operatore irrigidivano il cliente, che trepidante, trattenendo anche il respiro, non poteva che compromettere la sua caratteristica abituale espressione che restava così fissata nel fotogramma.”

Nonostante questi limiti, le carte de visite, progressivamente più sciolte e variate nella composizione e nelle pose, dispiegano importanti potenzialità documentarie e narrative, in rapporto con l’evoluzione della cultura visiva e la storia sociale della moda.

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km

28/04/2020