Le Carte di regola delle antiche comunità trentine

Cosa rappresentano le "carte di regola"? A quali scopi corrispondevano? Quali sono le più preziose? Perché il Trentino ha questa lunga tradizione in materia?  

Precedentemente all’avvento del moderno diritto codicistico, i cui primi esempi datarono a cavallo tra Sette e Ottocento, durante la lunga età del “diritto comune” (secc. XI-XVIII) furono compilati anche nel territorio trentino alcuni statuti locali come fonti cosiddette di “diritto proprio”, la cui interpretazione, soprattutto nei caso dubbi, avveniva nell’ambito della cornice dottrinale costituita dal diritto romano, il cui corpus in età medievale fu riportato alla luce e ampiamente rielaborato attraverso una continua opera di analisi e commento.

Nell’area tirolese, entro la quale oltre alle terre appartenenti al conte del Tirolo giacevano anche quelle facenti capo ad alcuni principi ecclesiastici (di Trento, Bressanone, Salisburgo e Frisinga) e che a sua volta era inserita nella multiforme compagine dell’Impero romano-germanico, la fonte statutaria preminente per il principato vescovile di Trento fu lo Statuto di Trento (la versione compilata sotto Bernardo Cles nel 1528 durò in pratica fino all’estinzione del principato, nel 1803, e anche un po’ oltre), mentre per le terre appartenenti al conte del Tirolo il medesimo ruolo aveva la Landesordnung.

Al di sotto dello Statuto di Trento e della Landesordnung tirolese, compilazioni situate al vertice della gerarchia statutaria delle fonti locali, stavano svariati statuti di città e borgate, di valli e di giurisdizioni, i quali erano le normative effettivamente utilizzate in loco. Spesso usciti anche a stampa, talvolta rimasti manoscritti, ne furono ad esempio prodotti per Rovereto, Riva, Pergine, il contado d’Arco, la val di Ledro, la Magnifica Comunità di Fiemme, la contea di Castello di Fiemme, le tre giurisdizioni di Telvana-Ivano-Castellalto, il Primiero, la giurisdizione di Fassa, la giurisdizione di Segonzano, i quattro Vicariati.

Solo in qualche caso questo genere di statuti, accanto ai due “libri” per la materia civile e per quella penale, conteneva una parte riservata alla gestione economica delle comunità e all’organizzazione amministrativa interna. Più spesso queste ultime materie erano tuttavia oggetto delle cosiddette “carte di regola”, che potevano avere anche altre denominazioni, ad esempio semplicemente quella di “statuto” accompagnato dal nome della comunità che lo aveva prodotto. Benché non fossero redatte in base a  una tipologia unica, ma al contrario presentassero anche notevoli differenze tra loro, ad esempio a seconda dell’epoca in cui videro la luce (tra le più antiche, del sec. XII, a quelle della seconda metà del Settecento intercorre come si può comprendere una grande differenza), possiamo in maniera molto essenziale definire le carte di regola come antichi strumenti normativi attraverso i quali  le comunità trentine dal medioevo agli inizi dell’Ottocento regolarono da sé lo sfruttamento delle risorse naturali e organizzarono la loro vita civile. Uno statuto regoliero, solitamente, soprattutto se si tratta di  un originale o di una copia autentica, si apre con un preambolo dove i vicini (coloro che appartenevano a pieno titolo alla comunità, rappresentati da un capofamiglia per ogni “fuoco”, la cellula base della regola) deliberano o la trasposizione scritta delle loro antiche consuetudini trasmesse fino ad allora su base orale o il rinnovo di uno statuto precedente ormai non più idoneo alle necessità della comunità. La parte centrale del documento consiste sostanzialmente in una serie di obblighi e divieti e, per le carte di regola più complete, in alcune prescrizioni aventi come oggetto le cariche comunitarie, le loro competenze, le modalità della nomina ai diversi uffici.

Nelle carte di regola dove la parte concernente l’organizzazione civile è scarna o alle volte inesistente è comunque ben presente una quantità di norme concernenti la materia urbanistica (acquedotti, strade, edifici ecc.), i campi coltivati e i prati (di proprietà privata ma aperti al pascolo collettivo tardivo o precoce), il pascolo e l’alpeggio, lo sfruttamento dei boschi da parte dei vicini. I due secondi settori economici, sempre più importanti con l’elevarsi dei livelli altimetrici, costituivano se così si può dire l’anima collettivista della regola, poiché erano organizzati su base comunitaria.

Lo statuto regoliero ed eventualmente le integrazioni apportate allo stesso si chiudono con l’autenticazione di un notaio o della cancelleria del principe territoriale di riferimento e con l’approvazione di quest’ultimo: il principe vescovo di Trento o il conte del Tirolo, essendo il territorio trentino a partire dal Cinquecento dipendente stabilmente per circa due terzi dalla prima figura, per il rimanente dai Tirolo e poi dai loro eredi, gli Asburgo. Il tutto può essere preceduto da una formula finale, costituita ad esempio da un monito al rispetto delle norme e dall’affermazione della supremazia del principe concedente, il quale si garantiva la futura possibilità di cassare degli articoli che avesse considerato inopportuni o di aggiungerne altri.

Senza inoltrarsi con ciò in un dibattito che di tanto in tanto riemerge rispetto a questi temi, si è consapevoli del fatto che gli statuti delle comunità rurali di per sé non costituiscano una peculiarità del territorio trentino, poiché normative analoghe furono prodotte anche nelle zone limitrofe (anche se comunque un rigoroso lavoro di comparazione tra gli statuti rurali del Trentino e quelli vicini non è stato mai condotto). Compilazioni analoghe conosciute come Weistümer erano vigenti ovviamente nel resto del Tirolo e appena oltre il confine linguistico a nord di Trento sovente prendevano il nome di Riegelordnungen (ordinanze regoliere). La specificità di questa vicenda storica semmai consiste in un insieme di elementi inseparabili l’uno dall’altro; tra questi, il fatto che in Trentino la carte di regola fossero diffuse in maniera così capillare e che la regione fosse inserita sia nell’impero romano germanico, che nei territori ereditari della Casa d’Austria,  contesti entrambi vocati all’autogoverno a motivo della loro stessa mancanza di omogeneità, che nelle terre degli Asburgo fu superata solo nei primi decenni dell’Ottocento. Quando tale processo prese avvio in maniera più decisa, ovvero sotto il regno d’Italia napoleonico (1810-1813), l’avvento del comune moderno causò la decadenza degli statuti regolieri.

Mauro Nequirito

Funzionario Soprintendenza per i beni culturali


23/02/2016