Nathalie Djuerbeng & Hans Berg

Un viaggio onirico, sospeso tra sogno e incubo, che mette in luce le contraddizioni del nostro tempo

[ Mart, Rovereto]

È come un viaggio nel fango e nella confusione con piccole boccate d’aria. Ma ehi, che boccate, che meravigliosi respiri senza compromessi, senza giudizio che racchiudono tutto l’amore per gli spregevoli, gli sbagliati, i pedanti e per il vostro sé miserabile, sporco, quel sé che non osa entrare in casa, che non osa sedersi sulla sedia, che non osa assaggiare il porridge, quel porridge amaro, quel porridge troppo caldo, quel porridge dal sapore dolce.

Sono le parole degli stessi artisti a introdurre il visitatore a Nathalie Djuerbeng & Hans Berg,  la mostra che il Mart di Rovereto, insieme al Moderna Museet di Stoccolma e in collaborazione con la Schirn Kunsthalle di Francoforte, dedica agli svedesi Nathalie Djurberg e Hans Berg.

La tenda posta all’inizio delle sale espositive si pone quale simbolo di un mondo altro da varcare, la scelta non del tutto consapevole di un viaggio che vuole essere anche un percorso di iniziazione. Un po’ come Alice nel mondo delle meraviglie che insegue le follie di Bianconiglio, sempre giocate sul sottile filo dell’incanto che si apre al mostruoso, del buono e del bello pronti all’incontro con il cattivo e il pauroso. Ma poi, si sa, il mondo degli adulti quasi mai si purifica con un risveglio nel verde e la scoperta che, in fin dei conti, si era trattato solo di un brutto sogno.

L’estetica di Djuerbeng e Berg è quella affidata a intuizioni quali We Are Not Two, We Are One: l’inganno visivo è quello di due esseri, una donna e un lupo, e lo sguardo di lei fissa l’animale con terrore e riprovazione. La donna sembra non accorgersi di provenire dalla stessa radice in cui bene e male coesistono, sembra non sapere, o non voler sapere, che il male è dentro di lei, connaturato all’essere umano.

Non importa se alle pareti della coloratissima ma anche scomposta e caotica cucina sono appese una serie di icone religiose. Non servono a proteggere, il male s’insinua, e soprattutto è sempre affare d’altri.

Fino al 27 gennaio, curata da Lena Essling e Gianfranco Maraniello, la mostra degli artisti Leone d’Argento alla Biennale di Venezia del 2009 conduce in un viaggio onirico, sospeso tra sogno e incubo, mettendo in luce le contraddizioni del nostro tempo.

Installazioni ambientali, paesaggi immersivi, realtà virtuale, il vero percorso della mostra è però quello che mette a nudo il nostro Io in qualche aspetto lirico, ma il più delle volte l’attenzione è posta sulle ombre, gli irrisolti, la vanità, le frustrazioni, l’attrazione per l’oscuro nei suoi vari risvolti. Per ricordarci che dalla “terza rivoluzione” inaugurata da Freud l’uomo sta perdendo ogni centralità, e di questo è tempo che prenda atto.

Giocata sul filo sottile dell’ironia, pervasiva e a volte dissacrante, la mostra richiede di andare oltre la superficie, oltre l’idea di confine e di identità, oltre ogni ordine costituito per guardare a noi stessi quasi in una prospettiva primigenia, senza sovrastrutture e al di là dei facili stereotipi.

L’invito degli artisti ai visitatori è: “Perdere la strada”, smarrendosi tra oggetti, suoni, immagini in movimento, musica ipnotica. L’esposizione si snoda attraverso enigmatici labirinti della mente e paesaggi archetipici: il bosco, la grotta, la casa diventano spazi psicologici che nutrono le nostre inquietudini.

Lungo il percorso espositivo, le tecniche classiche dell’arte – scultura, pittura, disegno, musica – incontrano i dispositivi del presente: le grandi installazioni del duo svedese sono figurative e astratte, materiche e impalpabili: creature e oggetti tridimensioni dimorano dentro e fuori i film in stop motion, tra animazioni, sound art, realtà virtuale.

Al Mart le maggiori opere realizzate tra il 2003 e oggi sono allestite secondo un percorso temporale scandito dai cambiamenti tecnologici degli ultimi anni: dalle video installazioni dei primi 2000, alla virtual reality del 2018, Djurberg e Berg sono indiscussi interpreti del proprio tempo.

La retrospettiva si chiude con It Will End in Stars/ Finirà in stelle (2018), un vero e proprio set virtuale, prodotto in collaborazione con Acute Art. Utilizzando un visore ottico e due controller, i visitatori possono esplorare un ambiente fantastico, interagendo con l’opera e modificandone parzialmente il percorso narrativo. (La fruizione è possibile dal martedì al venerdì tra le 14 e le 17, sabato e domenica dalle 11 alle 17).

Quella in virtual reality non è l’unica opera del 2018: vengono presentate a Rovereto due nuove animazioni già esposte a Stoccolma: Snake With a Mouth Sewn Shut, or, This is a Cel­ebration /Serpente con la bocca cucita, o Questa è una celebrazione e Delights of an Undirected Mind/ Delizie di una mente senza guida. Sono inoltre presenti due gruppi scultorei realizzati ancora nel 2018: Cheer Up – Yes You Are Weak and Yes, Life is Hard/Su con la vita – sì, tu sei debole e sì, la vita è dura e My Fixation With Making You Happy and Content/La mia fissazione di renderti felice e contento e un lavoro inedito pensato appositamente per il Mart, Am I Allowed to Step on This Nice Carpet? /Mi è permesso calpestare questo bel tappeto?.


09/10/2018