«Sul Set»: fotoromanzi, genere e moda nell'archivio di Federico Vender

Filo rosso della mostra il mondo fittizio del set in un’Italia che si affaccia al miracolo economico

[ © Archivio Fotografico Storico, Soprintendenza per i beni culturali, Provincia autonoma di Trento]

“Una mostra che rende omaggio a un grandissimo protagonista della fotografia italiana”: con queste parole Franco Marzatico, dirigente della Soprintendenza per i Beni culturali, introduce «Sul Set»: fotoromanzi, genere e moda  nell'archivio di Federico Vender, la mostra che sarà inaugurata venerdì 8 settembre alle 17.30 presso il Palazzo delle Albere di Trento e sarà qui visitabile fino al 7 gennaio. Con Marzatico sono presenti nell’ambito di Cultura Informa il direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Giuseppe Ferrandi, il presidente di Trentino Film Commission, Giampaolo Pedrotti, e la curatrice della mostra, Katia Malatesta.

Venticinque anni sono trascorsi da quando Federico Vender (1901-1999), nel suo ritiro di Arco, offrì alla Provincia autonoma di Trento il suo ricco archivio di fotografie e documenti, oggi tra i fondi più preziosi dell’Archivio Fotografico Storico della Soprintendenza per i beni culturali; settanta da quando il maestro di origini trentine, all'apice della sua carriera di raffinato fotoamatore, fu tra i firmatari del manifesto del Gruppo fotografico “La Bussola”, nato a Milano nel 1947 con l’obiettivo di promuovere un profondo rinnovamento della cultura fotografica italiana.

Parte da qui il progetto espositivo organizzato dalla Soprintendenza di concerto con il Servizio Attività Culturali, l’Ufficio per il Sistema Bibliotecario trentino e partecipazione culturale, la Fondazione Museo Storico del Trentino e la Trentino Film Commission, con l’obiettivo di valorizzare anche aspetti finora poco noti dell’opera di un grande fotografo di levatura internazionale. La mostra proporrà infatti un percorso inedito tra foto di scena, creazioni di haute couture, icone del cinema e dei 'fumetti fotografici'.

Un fenomeno quello del fotoromanzo che in Italia prende piede e si diffonde negli anni Cinquanta, non disgiunto dal boom economico del dopoguerra. Un genere in cui scarso peso ha la rappresentazione dei luoghi, mentre le inquadrature riguardano prevalentemente dei ritratti, mezzi primi piani o primi piani dei personaggi colti durante una conversazione. 

Dall’Archivio Fotografico Storico della Soprintendenza, che Marzatico definisce “miniera inesauribile, contenente oltre un milione di foto, fonte di stimolo, suggestione, riflessione, dalle potenzialità che ogni volta sembrano inesplorate” sono stati scelti un centinaio di scatti realizzati dal fotografo di origini trentine Federico Vender, “professionista che attraverso delle immagini pubblicitarie ci consegna una visione d'insieme della donna e della società al tempo del boom economico. Nella carrellata – osserva il soprintendente – è messa in luce la dignità artistica attribuita alla ricerca di un racconto per immagini che ha anche degli intenti educativi. La sequenza di immagini, basti pensare alla Colonna Traiana, rappresenta il luogo più antico, quasi ancestrale per raccontare e raccontarsi”.

Ma ci sono altri aspetti importanti per Marzatico in questa iniziativa: innanzitutto “mettere al centro l’Archivio Fotografico, che si arricchisce costantemente, con un tema che ci permette di guardare passato cogliendo elementi di rottura ma anche di tradizione e poi guardare alle Albere come centro in cui approdano iniziative di qualità nel luogo di rappresentanza del Concilio di Trento.  Qui è presente un ciclo di affreschi sul tema dei mesi, che in certo senso istituisce un legame con la mostra, visto che essa propone immagini della donna relative a un periodo ampio, con canoni che si modificano fino ad oggi. Si tratta di immagini in cui, fra l'altro, si può cogliere l’ossimoro, la contrapposizione  tra le figure femminili patinate e quelle un po' paludate di popolani ripresi quasi con crudezza di immagini".

Il presidente di Trentino Film Commission, Giampaolo Pedrotti, si sofferma quindi sull’importanza di organizzare una mostra fotografica nel tempo di Instagram, sottolineando che il compito di “Film Commission è anche quello di accompagnare una certa cultura che sta ‘dietro’ il cinema”.  Mette quindi in luce la qualità delle immagini in mostra, “un prodotto artistico splendido, con una pulizia di messaggio che facciamo fatica a trovare in altri artisti. Da quest'iniziativa potrebbero nascere seminari di approfondimento”- osserva.

Ferrandi sottolinea invece l’importanza della collaborazione tra le diverse istituzioni provinciali e l’obiettivo di mettere a punto una filiera di mostre che possa trovare in Palazzo delle Albere una sede di pregio e significato. “C’è la necessità – afferma - di trovare le modalità di gestire e valorizzare il patrimonio culturale e le mostre fotografiche raggiungono degli obiettivi straordinari se sono accompagnate da un apparato critico robusto. Non sono state fatte molte mostre attorno al fotoromanzo, tema di eleganza storiografica straordinaria ma poco frequentato, spesso inteso come uno dei vettori per trasmettere modelli femminili difficili da accettare oggi".

In conclusione, Malatesta racconta i contenuti della mostra, riflettendo sull’enorme fenomeno rappresentato dal fotoromanzo nel dopoguerra. “La mostra è frutto di tante risorse e di una squadra di collaboratori – esordisce -. Siamo partiti dall’attività invisibile e quotidiana dell'Archivio fotografico e ci aveva colpito la doppia anima di Vender, raffinatissimo fotoreporter, la cui attività si caratterizza per la perfezione, per una tecnica assoluta. Da una parte si pone la sua ricerca formale, dall’altra il suo essere direttore della fotografia di fotoromanzo, genere che ha goduto di cattivissima stampa, attaccato da ogni fronte, considerato fenomeno di evasione che allontanava dai problemi sociali.

Vender, qualificato come ‘direttore della fotografia’ nei colophon, è un grande fotografo che sbarca in quello che fu il più originale contributo italiano alla cultura di massa. Ne risulta una mostra affascinante, aperta a letture e pubblici diversi” - conclude Malatesta. 

Approfondimento della curatrice sul percorso espositivo  

             Federico Vender fu tra i protagonisti di una vicenda artistica che ebbe il merito di “riproporre degnamente la fotografia italiana di fronte alle più famose consorelle”, come scriverà, a distanza di due decenni, Guido Bezzola, direttore della rivista specializzata “Ferrania”. Proprio su questa testata, nel maggio del 1947, era apparso il manifesto del Gruppo fotografico “La Bussola”, a firma di Giuseppe Cavalli, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Vender e Luigi Veronesi, che lo avevano sottoscritto a Milano il mese precedente con lo scopo di promuovere “la fotografia come arte”, allontandandola dal “binario morto della cronaca documentaria”. Alla metrica limpida e alla luminosa chiarezza che caratterizzano lo stile del Gruppo è dedicata la prima sezione della mostra, introduzione all’incessante lavoro sulla figura femminile che, nel divertito omaggio dell’amico ‘bussolante” Giuseppe Cavalli, fece di Federico Vender “un caposcuola nel campo del ritratto alle donne belle”: prima fra tutte l’attrice francese Michèle Morgan, fotografata nel 1948 negli studi di Cinecittà.

            Questa precoce esperienza al cuore del mondo del cinematografo, per altro verso, può essere letta come l’inizio della seconda fase della carriera dell’autore, che nel 1950 approda al professionismo, forte di una tecnica perfetta e di un’esperienza nel foto-ritratto consacrata da esposizioni, concorsi e riviste internazionali. Ai lavori nel settore della moda e della pubblicità si aggiungono le relazioni con l’editoria; dal 1950, in particolare, Vender presta la sua opera come direttore della fotografia per “Luci del luna park”, la testata nata nell’orbita della Rizzoli fin dal dicembre 1946, in squadra fissa con il regista Sirio Magni, la direttrice di produzione Armida Tencalla e l’operatore Attilio Bazzini: li ritroviamo tutti in una serie di fotografie scattate dietro le quinte, in mostra assieme a un’ampia scelta di stampe vintage collegate alle riduzioni di La voce nella tempesta, Anna Karenina e La signora dalle camelie, tra i primi capolavori del passato ‘tradotti’ in fotoromanzo tra il 1951 e il 1953.

            In questa veste, Vender contribuì anche a consacrare l’immagine degli eroi assoluti dell’universo fotoromanzo: attori e attrici, immancabilmente giovani e belli, in linea con il paradigma dell’amore romantico codificato da generazioni di autori ‘rosa’. Grazie agli appunti manoscritti del fotografo e alle liberatorie da lui ordinatamente raccolte soprattutto a partire dal 1950, è stato possibile dare un nome a oltre settanta delle modelle ritratte da Vender e verificare la correlazione tra gli scelti ritratti che il fotografo inviava a mostre e concorsi internazionali e la sua attività per le riviste di fotoromanzi. La sezione “Volti da copertina” presenta così un rappresentativo catalogo di primi piani di attori e soprattutto attrici, come Gerilt Rintelen, Anna Pettenella, Giuliana Carravieri, Ileana Capurso, Lidia Moschini: solo alcuni dei nomi che si ripetono tra le carte del fotografo e i colophon dei ‘fumetti fotografici’, insieme a quelli di Manfred Freyberger e di Edy Campagnoli, presto nota anche come valletta di Mike Bongiorno nel quiz Lascia o raddoppia?. Colpisce la relativa varietà dei modelli femminili, che spaziano da una freschezza ingenua alla bellezza più sensuale e aggressiva di Alice Dicovich, dark lady nel fotoromanzo Lucrezia Borgia e soggetto di un intenso ritratto premiato a Cannes nel 1954.

            Il percorso prosegue, "Dal set alla strada", con immagini di ragazze che fumano, studiano, viaggiano ‘da sole’, indossano pantaloni aderenti e trasgressivi. Ritratte in spiaggia o in luoghi da cartolina, ma anche, non senza ironia, davanti a una stia o al banco dei gelati, le modelle-attrici assumono pose calcolate, in accordo con l’esperienza di Vender nella fotografia narrativa. Nelle sue escursioni gardesane, tra l’altro, Vender cattura le prime immagini di una giovanissima Enrica Bianchi Colombatto, poi famosa con il nome d’arte di Erica Blanc, contribuendo ad avvicinarla al mondo dello spettacolo.

            La fama della ritrattistica di Vender resta largamente legata all’interpretazione artistica della bellezza delle modelle e delle dive da lui rese iconiche. La ricchezza degli scatti conservati nell’Archivio Fotografico Storico, d’altra parte, rivela in ogni circostanza un ritrattista attento e sensibile, in grado di cogliere il carattere più autentico dei soggetti raffigurati e di trasformarli sempre in ‘protagonisti’. La fotografia di Vender rifugge gli effetti puramente documentaristici e descrittivi; non di rado, tuttavia, all’attenzione formale si intrecciano elementi di costume, in uno spaccato vivace della società di metà Novecento. È quanto suggerisce la sezione “Le due Italie”, alternando vivaci immagini di cuoche, marinai e pescatori con i ritratti di maestri e amici, animatori della scena culturale in cui anche Vender si muoveva da protagonista. Un contrasto che trova emblematicamente sintesi nella statuaria posa dell’attrice Rosanna Schiaffino tra le figure, diminuite dalla prospettiva, degli astanti impietriti sulla scalinata dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia.

            Il passaggio dal primo piano alla figura ambientata porta con sé il tema della moda, che Vender aveva frequentato fin dal suo primo impiego nel settore tessile. Non giunge quindi inaspettata la presenza in archivio di una decina di fotografie di modelli presentati in occasione della prima rassegna internazionale dell'abbigliamento La moda nel costume contemporaneo, organizzata dal Centro Internazionale delle Arti e del Costume (CIAC) di Venezia nel 1956. All’evento, che si svolse dal 21 al 23 agosto nelle sale di Palazzo Grassi, sede del CIAC, parteciparono in tutto otto paesi - Italia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Giappone, India e Stati Uniti - con più di 300 creazioni realizzate da un centinaio di case di alta moda e confezione. Le stampe di Vender riportano sul verso la nazione rappresentata e il numero di catalogo, che permette di risalire alla descrizione di ogni modello. Il soggetto è generalmente l’intera figura dell’indossatrice, ritratta in un set fotografico a luce artificiale. Isolando la figura, lo sfondo bianco contribuisce a facilitare la lettura dell’abito, valorizzato dalla posa dalla mannequin, che ne evidenzia il taglio e i volumi. Le fotografie di Vender, a sessanta anni dall’esecuzione, ci consentono così di apprezzare la materia,  le trasparenze dei tessuti, il maquillage delle indossatrici truccate dalle specialiste di Elizabeth Arden con la nuova linea Rose Aurora.

            Nelle sue varie articolazioni, il percorso offre così la possibilità di indagare le modalità con cui il medium fotografico, nell’incontro con le convenzioni della fotografia di moda e con le ambizioni ‘pedagogiche’ del fotoromanzo, ha recepito e contribuito a plasmare l’immagine femminile e i ruoli di genere, nel quadro del lungo processo dell’emancipazione femminile italiana.

            La selezione dei materiali in mostra permette inoltre di tornare sulla varietà degli aspetti materiali deglioriginali di Vender, stampati di volta in volta su carte opache o lucide con diverse tonalità, e sul meticoloso controllo applicato dall’autore in tutte le fasi di ripresa, di sviluppo e di stampa; una pratica che si prolunga nei sottili ritocchi a matita rivelati dall’esame ravvicinato, applicati, con implacabile perfezionismo, per amore di geometria, o per rialzare l’intensità di uno sguardo. Sarà inoltre possibile seguire il lavoro di Vender dalla camera oscura all’edicola, confrontando gli originali con le artificiose copertine e l’ordinato montaggio da ‘cinema classico’ delle strisce dei fotoromanzi.


05/09/2017