ONYEKA IGWE / The names have changed including my own and truths have been altered; JUSTIN RANDOLPH THOMPSON / Doan yu tell no one I made it

Cinema

The names have changed including my own and truths have been altered

Questa è la storia del nonno dell’artista, la storia della ‘terra’ e la storia di un incontro con la Nigeria: raccontata in un unico momento, in un unico luogo. L’artista sta cercando di dire una verità in tutti i modi possibili. Quindi i nomi sono cambiati incluso il mio e le verità sono state alterate e ci raccontano la stessa storia in quattro modi diversi: un racconto popolare di due fratelli reso con tratti ampi e non modulati di immagini coloniali britanniche in movimento; una serie TV di Nollywood, in VHS, basata sul primo romanzo di Igbo pubblicato; una storia del patriarca di famiglia, tramandata di generazione in generazione sotto forma di danza; ed elementi tratti dal diario della prima visita compiuta dall’artista nella città natale della sua famiglia.
Igwe spinge contro i materiali dell’archivio – le sue distorsioni, invenzioni e abbellimenti – con la propria autofiction. L’artista cita una serie di fonti artistiche, letterarie e personali per creare un singolare documento biografico composto da molti filoni. I nomi, incluso il mio, sono stati modificati e le verità sono state alterate. L’ordinario e il quotidiano sono alleggeriti nell’archivio attraverso l’azzardo di scrivere e riscrivere le storie della vita africana diasporica, sullo sfondo delle narrative coloniali prevalenti.

Doan yu tell no one I made it – JUSTIN RANDOLPH THOMPSON
L’opera inedita realizzata per il Museo Madre in occasione della Giornata del Contemporaneo, doan yu tell no one I made it, è un cortometraggio in super8 dedicato ai temi della fragilità e dell’opposizione all’idea di trionfo. Uno studio suddiviso in due scene e narrato attraverso due fonti distinte sul paternalismo intrinseco al colonialismo italiano in Africa e, in contrasto, al compito che l’Africa si assume di umanizzare l’occidente. La prima fonte, una prefazione di Nell’Affrica Italiana scritta da Ferdinando Martini nel 1891 e la seconda un discorso tenuto da Leopold Senghor a Firenze nel 1962. Due pugili compiono un esercizio della boxe definito “pugilato a vuoto”, in cui i combattenti indirizzano i colpi verso un ipotetico avversario immaginario sotto un arco di trionfo e un’attivista e consigliera comunale legge nel Salone dei 500 di Palazzo Vecchio il discorso che Senghor diede nello stesso luogo più di mezzo secolo fa. Il titolo del cortometraggio fa riferimento a una frase tratta dai Canti Pisani di Ezra Pound e evoca il disconoscimento dell’autorialità. L’opera è il capitolo più recente del film in progress Minted in Enemy Bronze.

Costi

free entrance

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