Fotografe

Donne dietro l'obiettivo

Caterina Unterveger, Lavandaie a Torre Verde, Trento, 1885 ca. - 1898, stampa su carta all’albumina [ @AFS, Soprintendenza per i beni culturali, Provincia autonoma di Trento]

Nei decenni che videro lo sviluppo e la diffusione della fotografia, molti settori professionali erano ancora appannaggio degli uomini, in ragione di una condizione femminile gravata da pesanti impedimenti culturali e sociali. L’avvio di uno studio fotografico, in particolare, richiedeva competenze imprenditoriali e risorse alle quali solo poche potevano accedere. Tra i fotografi professionisti, di conseguenza, le donne erano una piccola minoranza: Naomi Rosenblum, nella sua storia delle fotografe, riporta che tra il 1841 e il 1855, in Inghilterra, su circa 750 studi soltanto 22 avevano alla guida una donna. La presenza femminile era molto più frequente a fianco di padri, fratelli o mariti; negli atelier dei congiunti, le donne operavano in posizione di comprimarie o assistenti, occupandosi spesso dei ritocchi o della coloritura delle stampe fotografiche.

Anche limitando lo sguardo alle rare imprenditrici, nella maggior parte dei casi sarebbe anacronistico andare alla ricerca di un originale approccio ‘femminile’; in questa fase, infatti, la fotografia commerciale, senza particolari pretese artistiche, rispondeva ad una serie di stretti dettami e convenzioni in grado di assicurare risultati corretti e conformi alle aspettative di un pubblico che aveva formato la propria cultura visiva su quella stessa deliberata medietà.

Come si è visto, in Trentino fin dagli anni Quaranta si registra il passaggio di Elisa Brosy (leggi di più), dagherrotipista itinerante al pari del marito Ferdinand, maestro di Giovanni Battista Unterveger. Nei suoi viaggi da Venezia, Elisa raggiunse il Tirolo settentrionale, per cui si hanno anche notizie scarne ma precoci di fotografe originarie della regione. I giornali locali riportano infatti inserzioni della pittrice e fotografa Kreszenzia Zerzer, residente a Innsbruck, che nel 1855 offriva “ritratti fotografici a prezzi bassissimi”; ancora nel 1862 tra i cinque fotografi attivi in città si cita una signorina Zerzer.
Alla dagherrotipia si avvicinarono le sorelle Barbara e Anna Katharina Lentsch, originarie della Pitztal, che dopo aver appreso il mestiere a Vienna attraversarono mezza Europa offrendo i propri servizi di fotografe ambulanti. Anna Katharina, con la sorella minore, si spinse fino all’Ungheria, alla Romania e alla Turchia, mentre Barbara raggiunse San Pietroburgo assieme all’altra sorella, Teresa. Dopo le nozze con il calzolaio Ferdinand Back, nel 1860 Anna Katharina si stabilì a Sigmaringen e vi aprì un atelier, assistita dal marito, che tuttavia emblematicamente assunse la titolarità dello studio: “Photographisches Atelier Ferd. Bak Sigmaringe”. Anche le tre figlie della coppia, Ida, Herta e Pauline lavorarono come fotografe, prima nell’atelier Back, poi presso Lau nel Vorarlberg. Assieme al secondo marito, il fotografo Carl Risch, Ida darà avvio alla prospera casa editrice di cartoline Risch-Lau.

La vicenda dei maggiori laboratori trentini specializzati nella ritrattistica di studio, tra Otto e Novecento, offre sparse attestazioni di spose e figlie impegnate a fianco del titolare, e pronte a rilevare l’impresa familiare dopo la sua scomparsa. È il caso di Virginia, moglie di Giovanni Battista Altadonna (leggi di più), che alla morte del marito proseguì l’attività con l’aiuto del collaboratore Giovanni Facchini; questo tentativo imprenditoriale tuttavia ebbe breve durata, esaurendosi dopo soli tre anni di attività. Analoghe tracce hanno lasciato le vedove di Lorenzo Rosetti e del fotografo Luigi Chiesura, attivo a Rovereto dal 1902; sappiamo invece che Giuseppe Brunner, elegante ritrattista del bel mondo locale, fu affiancato dalla figlia adottiva, Alice Gadotti, nell’ampio studio attrezzato a Trento dal 1903.

Più definita e dinamica appare oggi la personalità di Caterina Valentina Unterveger (1830-1898), cameriera e maestra di ricamo, quindi testimone diretta dell’emigrazione trentina in Brasile, dove sbarcò a fine 1875 per un soggiorno di qualche mese, e infine, a Brescia, imprenditrice di successo, capace di ritagliarsi un ruolo, seppur minore, anche nel campo aperto dal fratello minore Giovanni Battista. La biografia di “Catina” o “Cattina” incrocia con singolare puntualità alcuni temi chiave per la ricostruzione delle dinamiche sociali del secondo Ottocento, dal fenomeno migratorio femminile al contributo delle donne al movimento cattolico di fine secolo. La “Cartoleria Cattina Unterweger” si impegnò tra l’altro nella produzione delle nuove lastre secche alla gelatina sali d’argento, oltre che di un elisir di erbe che al tempo godette di un diffuso apprezzamento. Nella collezione storica di Flavio Faganello, in Archivio fotografico storico, si conserva una trentina di stampe fotografiche su cartoncini che portano stampigliato il nome di Caterina. I soggetti e le inquadrature rimandano senza scarti ai modelli del fratello. Anche nel caso di una personalità che il ricordo familiare qualificava come “bizzarra” e “inquieta”, ritroviamo dunque le consuetudini comuni a tutta la produzione professionale contemporanea; uno sguardo di genere, nella fotografia trentina, che ancora per tutto il primo Novecento resterà sostanzialmente territorio maschile, comincerà ad emergere solo molti decenni più tardi.

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km

25/05/2020