Chiesa, Impero e Turcherie. Giuseppe Alberti pittore e architetto nel Trentino barocco

Al Buonconsiglio la mostra dedicata al pittore fiemmese Giuseppe Alberti e al suo principe vescovo, Francesco Alberti Poja

"Mostra intricata, ancorché intrigante, quella che si presenta nelle sale del Castello del Buonconsiglio e che già dal titolo - Chiesa, Impero e turcherie. Giuseppe Alberti pittore e architetto nel Trentino barocco -evidenzia i due filoni strettamente intrecciati, ma ognuno con una sua propria autonomia, che la percorrono" - spiegano i curatori Luciana Giacomelli ed Elvio Mich a proposito dell'esposizione che sarà inaugurata venerdì 2 dicembre alle 17.30

"Due infatti - prosegue - sono le personalità che contraddistinguono l'esposizione, due i protagonisti di un'unica epoca, la seconda metà del Seicento, attraversata da avvenimenti che trasformano la società, la cultura e l'arte del Trentino, rinnovandola grazie al costante confronto con le realtà vicine come Venezia in primis e Roma.

Due protagonisti dicevamo: un pittore, il fiemmese Giuseppe Alberti di cui quest'anno ricorre il terzo centenario dalla morte, e il suo vescovo, anzi, principe vescovo, Francesco Alberti Poja (1677-1689), il cui governo si innesta senza soluzione di continuità su quello del predecessore, Sigismondo Alfonso Thun (1669 - 1677), il cui ruolo di mecenate delle arti viene qui, per la prima volta, considerato grazie anche ad un inventario, recentemente ritrovato, del 1677. Gli interventi da lui voluti in Palazzo Pretorio ne evidenziano una forte volontà di rimarcare il potere principesco-vescovile sul territorio mentre la commissione di tre dipinti a Giuseppe Alberti, il San Vigilio, il Martirio del Simonino, l'Uccisione di Abele pone le basi per quelle innovazioni culturali che saranno perseguite con costanza da Francesco Alberti Poja.

La figura di quest'ultimo è in definitiva il cardine attorno a cui ruota l'ambiente trentino di quegli anni. Laureatosi a Bologna, studiò a Roma avendo la possibilità di frequentare le famiglie nobili più in vista della città, di vedere le sue opere più insigni, di visitare i cantieri berniniani così fastosamente riecheggiati a Trento dalle sue maggiori imprese. Da principe vescovo promosse una serie di interventi architettonici, pittorici, scultorei che non hanno uguali nel Trentino di età barocca, concretizzando un vero e proprio momento di svolta in ambito storico artistico, e non solo, offrendo un'interpretazione settentrionale di quanto aveva visto a Roma. L'eta' barocca si concentra in Trentino in pochi decenni e si apre e si chiude, si può dire, con il suo principato.

D'altronde la posizione geografica di Trento rendeva la città tappa obbligata di tanti e illustri personaggi diretti a Roma o, viceversa, al Brennero ed era piacevole il soggiorno agli occhi dei forestieri, diplomatici, politici che la visitavano quale centro in cui si respirava la compresenza di più culture: specchio di questa identità divennero ben presto la Cappella del Crocifisso nella Cattedrale di S. Vigilio e la nuova Giunta albertiana al Castello del Buonconsiglio. Nella residenza del principe vescovo, rinnovata secondo il gusto del tempo, confluirono mobili preziosamente intagliati, la cui esuberanza purtroppo possiamo solo immaginare grazie agli inventari rimastici ma dei quali la belllissima cornice intagliata attribuibile a Lorenzo Haili offre ancora un superbo esempio insieme ai soffitti splendidamente intagliati; notevolissimi, poi, dovevano essere i pavimenti maiolicati, della famosa manifattura bassanese dei Manardi, dai motivi “alla turchesca” così di moda all'epoca, realizzati ad imitazione dell'arte e della cultura dell'Impero ottomano e di cui si offre in mostra un'ampia ricostruzione con le piastrelle rimaste.

La decorazione pittorica della residenza risponde ai maggiori fermenti della cultura contemporanea ed ecco quindi l'esaltazione di Vienna e delle tante città riscattate dall'assedio ottomano celebrata nella sala del Trionfo della Fede con i medaglioni raffiguranti i protagonisti di quella riscossa cristiana tanto sollecitata da papa Innocenzo XI Odescalchi (Carlo V duca di Lorena, Massimiliano II di Baviera, l'imperatore Leopoldo I e lo stesso papa), ribadendo quella posizione a favore della politica papale già espressa dal principe vescovo alcuni anni prima con la costruzione della nuova cappella nella chiesa dei Domenicani di Trento dedicata a Pio V, il papa della Lega santa e della battaglia di Lepanto (1571). Tutto ruota attorno alla corte vescovile e alle famiglie nobili del territorio in piena sintonia con il rinnovato ambiente culturale e letterario che vide il presule primo protettore dell'Accademia degli Accesi, i cui adepti realizzarono odi in suo onore, a cui seguiranno una lunga sequenza di poemetti encomiastici (ricordiamo quelli di Giacomo Ciurletti e Domenico Antonio Menestrina tra gli altri) o panegirici come quello di Bartolomeo Ippolito Ciurletti, dove motivo costante è la celebrazione del prelato attraverso i suoi motivi simbolici e araldici (dall'aquila al serto di alloro) che Francesco Alberti Poja volle profusi dovunque a celebrazione del suo potere.

Richiamati dalla fama di colto mecenate del vescovo arrivano gli artisti “da paesii lontani” come il fiammingo Cornelis van der Beck, ed altri vengono da lui stesso ingaggiati per arricchire i suoi cantieri. Sono scalpellini, pittori, scultori e solo elencarne i nomi principali ci dà l'idea del fervore che doveva vivacizzare una città solitamente molto silenziosa: Antonio Albertino giunge da Milano grazie ai rapporti del principe vescovo con il capitano della città, da Venezia e Padova provengono pittori come i Liberi, padre e figlio, Johann Carl Loth, Paul Strudel che di lì a pochi anni sarà nominato scultore di corte a Vienna, gli stuccatori lombardi Gerolamo Aliprandi e Andrea Pelli, mentre i buoni rapporti con Rinaldo d'Este e Alessandro Farnese sembrano essere alla base della venuta del trentino Lorenzo Haili, scultore e intagliatore al servizio del duca Ranuccio II Farnese. Ne' si può tralasciare come proprio negli stessi anni emergesse ormai il carmelitano trentino Jacopo Antonio Pozzo, al quale solo recentemente la critica ha riassegnato il giusto ruolo di protagonista della scena lagunare e di quella trentina, ruolo non certo secondario rispetto a quello del fratello architetto e gesuita Andrea.

Ma l'artista al quale è strettamente incardinata la volontà del presule è Giuseppe Alberti. Personaggio dai molteplici interessi culturali, dopo l'ordinazione sacerdotale egli frequenta per qualche anno le facoltà di legge e medicina a Padova. E' appunto nella città patavina che avviene la sua definitiva conversione alla pittura, che aveva sperimentato, con esiti modesti, in età giovanile. Da quel momento il suo impegno artistico diviene prioritario, se non assoluto, e per meglio assecondare questa inclinazione si trasferisce a Venezia dove entra nella rinomata “Cademia” di Pietro Liberi. Sono anni di studio e di frequentazioni importanti. Alberti ha modo di meditare sulla grande tradizione coloristica del Cinquecento, da Giorgione a Tiziano a Veronese, di conoscere la grande pittura contemporanea di Strozzi, Maffei e Liss, e, probabilmente, di intrattenere rapporti personali con Johann Carl Loth, Giovanni Battista Langetti e Pietro della Vecchia.

A fronte del silenzio quasi assoluto delle fonti riguardo questo lungo soggiorno in laguna, che si protrae dal 1668 al 1673 circa, rimangono gli esisti straordinari della sua arte nelle quattro semilunette con i Padri della Chiesa, nella sagrestia della Chiesa di S. Michele all'Adige, eseguite nel 1673, opere caratterizzate da uno splendido cromatismo che assieme ai già ricordati dipinti coevi commissionati da Sigismondo Alfonso Thun per la residenza vescovile - tutti esposti nella presente mostra -, vanno annoverate tra le manifestazioni 'periferiche' più originali della civiltà pittorica veneziana del tardo Seicento.

Opere irripetibili, tuttavia, poiché lo stile del pittore fiemmese era destinato a mutare corso nel giro di poco tempo. Nel 1675 lo troviamo a Roma, dove è documentato nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte e dove rimane per alcuni anni, ottenendo prestigiose commissioni per importanti chiese romane come la basilica di S. Marco e la chiesa di S. Maria in Campo Marzio. La sua permanenza nell’Urbe, documentata fino al 1677, ma forse protrattasi fino al 1682, era finalizzata all’apprendimento della tecnica dell’affresco e dei principî della grande decorazione murale barocca di ispirazione cortonesca, oltre che allo studio dell’architettura.

Negli anni successivi al ritorno a Trento, Alberti è infatti impegnato, principalmente, in decorazioni murali: di nuovo nella chiesa agostiniana di S. Michele all’Adige, dove tra il 1682 e il 1683 sperimenta, per la prima volta, la visione del sott’in su, quindi nel cantiere della Cappella del Crocifisso (1682-1688), da lui stesso progettata ed eretta per volontà del principe vescovo Francesco Alberti Poja, nella quale oltre ad eseguire la decorazione ad affresco assume la regia dell’impresa, coordinando i vari interventi degli stuccatori, degli scultori e di altre maestranze chiamate a collaborare, affidando l’esecuzione dei grandi 'teleri' absidalia Johann Carl Loth. Oltre a questo impegnativo cantiere, per il quale – riferisce un contemporaneo – il vescovo profuse “non a rigagni, ma a fiumi l’oro”, destinato a mutare non solo l’aspetto della cattedrale trentina, ma il volto stesso della città, l’azione di rinnovamento edilizio intrapresa dal presule, grazie alle doti organizzative dimostrate da Giuseppe Alberti, si rivolge anche alla sede stessa del potere temporale, con l’erezione, nel breve tempo di tre anni, della cosiddetta Giunta albertiana (1686-1688), il corpo di fabbrica che unisce il Magno palazzo clesiano a Castelvecchio, sontuosamente decorato, all’interno, dagli stucchi di Aliprandi e Pelli, e affrescato dallo stesso Alberti.

L’intesa tra plasticatori e pittore si rinnova, negli stessi anni, in Palazzo Leoni Montanari a Vicenza (1687-1688) ed è in questa impresa decorativa, la più vasta intrapresa dall’artista e una delle più rilevanti nel tardo Seicento in Veneto, che Alberti riesce a dare il meglio di se stesso.

Nel 1689, dopo la morte del suo mecenate e protettore, Alberti si ritira a Cavalese dove erige una vasta abitazione, in parte adibita ad atelier. La sua attività prosegue intensa negli anni successivi, per la chiesa abbaziale di San Michele all’Adige, per la Chiesa dei Francescani a Cavalese, per la Cappella del Suffragio nell’Arcipretale di Riva del Garda, e per la Cappella del Rosario nella parrocchiale di Pressano, solo per citare i più rilevanti. Ma il merito maggiore che va riconosciuto all’anziano artista è la fondazione di una “Scuola di disegno”, nella quale prende avvio la stagione settecentesca della pittura fiemmese, rappresentata da Martino Gabrielli, Domenico Bonora, ma soprattutto da Michelangelo Unterperger e Paul Troger che diverranno, a loro volta, maestri e capofila della pittura rococò in Austria. Un grande artista, dunque, un altrettanto grande committente, che, insieme, lasciarono ai posteri una grande e vitale eredità"- concludono i curatori.

Luciana Giacomelli ed Elvio Mich - curatori della mostra

30/11/2016