La fotografia di studio

Trento e Rovereto, le prime presenze

Giovanni Battista Altadonna, Ritratto di Valentino Salvadori in tenuta da cacciatore, 1867, stampa su carta all'albumina [ @AFS, Soprintendenza per i beni culturali, Provincia autonoma di Trento]

Nel corso degli anni Sessanta, anche in Trentino la nuova figura professionale del fotografo di studio assunse progressivamente il ruolo che era stato dei ritrattisti ambulanti: per la popolazione, rivolgersi ad esercizi permanenti e ben attrezzati, in qualsiasi momento dell’anno e magari più volte nel corso del tempo, era del resto più comodo e immediato.

Secondo fotografo stabile del Trentino fu Giovanni Battista Altadonna (1824-1890), che nel 1859, grazie alla prestigiosa formazione di pittore accademico, aveva potuto rivendicare la guida della società formata per un breve torno d’anni con Giovanni Battista Unterveger. Nel 1863 il loro laboratorio sito in Contrada Lunga era in grado di “offrire al pubblico […] vedute di varie grandezze, come pure vedute stereoscopiche”. Quando le strade si separarono, più tardi nello stesso anno, Altadonna si specializzò nel ritratto fotografico, senza pretesa di contendere all’ex partner il chiaro primato nella fotografia in esterno. Cercò quindi di promuovere la propria attività puntando anche sulle comodità offerte: il 25 novembre 1863, sulle pagine del periodico “Il Messaggiere di Rovereto”, sottolineava così il riscaldamento delle stanze di ripresa.

Frattanto, alla fotografia si era avvicinato anche Costante Segatini (1838-1931), che già nel 1860 aveva operato temporaneamente a Trento, nel “giardino fu Cappelletti”, in società con il bolzanino Ignazio Kircher. Di seguito, pur mantenendo la residenza nel capoluogo, Segatini avviò il primo atelier fotografico a Rovereto; se ne hanno notizie nel 1866, quando entrò in lite con le autorità cittadine per l’erezione di una tettoia nell’orto Tosetti.

Nel 1868, dopo il passaggio del Veneto al nuovo Regno d’Italia, i primi tre fotografi del Trentino ancora austriaco – Unterveger, Altadonna, Segatini – parteciparono tutti, con buoni riscontri, all’Esposizione agricolo-industriale di Verona; il resoconto a cura del segretario della Camera di Commercio, Giuseppe Amedeo Farinati degli Uberti, si soffermerà sulla festosa accoglienza riservata agli “esponenti Trentini”, giunti a Verona il 27 settembre 1868: “L’è così gran piacere accogliere amici da cui per strane vicende si è separati, che al ravvicinarsi non è possibile contenere la piena d’affetto che l’un verso l’altro trascina.”

Nel 1869, Costante Segatini, perseguito per esercizio illecito della professione di fotografo, presentò richiesta e ottenne la patente necessaria per proseguire le attività; nel 1874 poté così dare avvio alla costruzione del suo nuovo atelier, sito in via Scuole.

In quegli anni, anche a Trento il tentativo di aprire studi fotografici stabili si scontrò spesso con la severità delle leggi vigenti in materia di licenze. Si ha notizia del fallito tentativo del fotografo M. Cohen di Amsterdam di aprire bottega presso piazza Fiera, nel 1863. L’ottico Santo Caminada (1825-1869 post), che aveva aperto uno studio a Trento nel rione di Borgo Nuovo, nel 1865 dovette recedere dalla sua iniziativa perché privo di patente; di seguito rinunciò alla pratica della fotografia, ma l’Archivio fotografico storico custodisce alcuni esempi della sua produzione, tra cui il Ritratto a mezzobusto di don Francesco Saibanti. Nello stesso 1865 fu multato anche Joseph Guitkais, che aveva aperto uno stabilimento nel giardino Canella in piazza Fiera; in AFS si conservano due suoi ritratti su carte de visite.

Dopo Unterveger e Altadonna, il terzo fotografo operante stabilmente a Trento fu dunque Germano Bendelli (1829-1913), che dopo aver tentato di aprire uno studio in via San Marco, nel 1872, si insediò invece in via Torrione, nell’area di piazza Fiera, come si è visto privilegiata in quanto luogo di passaggio e sede di numerose iniziative di richiamo. Fin dal 1872 Bendelli risulta iscritto alla neonata SAT – Società alpina del Trentino; nel 1875 partecipò all’Esposizione regionale di Trento, accanto a Segatini e Unterveger, che di queste iniziative saprà cogliere pienamente la funzione progressiva di vetrina della modernizzazione e centro propulsore delle conoscenze applicate, come anche la valenza promozionale.

In questi anni gli studi fotografici erano solitamente costituiti da più locali, tra cui un’anticamera per l’accoglienza della clientela, la camera oscura, dove si procedeva alla preparazione e allo sviluppo delle lastre di vetro, e la sala di posa, che in assenza di energia elettrica doveva essere provvista di ampie finestre o di soffitto vetrato. Per garantire un’illuminazione costante, le aperture erano generalmente rivolte a nord e dotate di tendine regolabili; si usavano anche pannelli riflettenti per dirigere la luce sui clienti in posa. Erano inoltre presenti alcuni oggetti di arredo, tra cui fondali dipinti per vivacizzare i ritratti con ambientazioni fittizie sempre più elaborate. La messa in scena si completava con colonnine, sedie, balaustre e tavolini che avevano anche la funzione di sostegni per le persone ritratte, costrette all’immobilità per il tempo dell’esposizione, ancora relativamente lungo.

Le presenze si moltiplicheranno dopo il 1880, in rapporto con il progresso tecnologico e la domanda di mercato; il prodotto più richiesto resterà ancora a lungo la carte de visite.

km

28/04/2020