Talbot e il processo negativo/positivo

Il calotipo e la carta salata

William Henry Fox Talbot, The Pencil of Nature (tavola), 1844-46, University of Edinburgh

Europeana, CC BY

_
Al posto delle lamine metalliche utilizzate da Daguerre, Talbot impiegò carta da lettere di buona qualità, trattata con soluzioni contenenti cloruro di sodio (comune sale da cucina) e nitrato d’argento. Ponendo a contatto della carta così sensibilizzata piccoli oggetti, come pizzi, foglie, fiori, fin dal 1834 ottenne immagini negative che si formavano per annerimento diretto, sotto l’azione della luce solare. Sperimentando con piccole camere oscure, realizzò anche i primi negativi su carta di ambienti e piccoli oggetti domestici. A Talbot si deve inoltre l’intuizione che traghettò la fotografia nel nuovo mondo della riproducibilità. Esponendo alla luce un secondo foglio di carta fotosensibile posto a contatto con il negativo, era infatti possibile ricavarne una copia positiva: operazione ripetibile in modo virtualmente illimitato. Nascevano così il processo negativo/positivo e il primo procedimento di stampa fotografica, che sarà noto come carta salata.

In questa fase, le prove di Talbot, che egli inizialmente chiamò disegni fotogenici, scontavano il limite dell’instabilità, in mancanza di un ritrovato in grado di arrestare il processo di annerimento dell’argento alla luce. L’annuncio dell’invenzione di Daguerre lo costrinse ad una frenetica rincorsa. Dopo una prima notizia anticipata da Michael Faraday alla Royal Institution, il 25 gennaio 1839, lo stesso Talbot, il 31 gennaio successivo, illustrò alla Royal Society il suo procedimento. Nei giorni successivi gli venne in aiuto l’amico astronomo John Herschel, che gli suggerì la tecnica del fissaggio tramite iposolfito di sodio.

A seguito di ulteriori miglioramenti, il metodo, brevettato il 17 agosto 1841 a Westminster, rimase in uso per circa un ventennio con il nome di calotipia o talbotipia. La matrice negativa su carta, chiamata calotipo, veniva collocata tra due lastre di vetro entro apparecchi analoghi a quelli usati per la dagherrotipia. Dopo l’esposizione, l’immagine latente era rivelata e resa stabile attraverso bagni di sviluppo e fissaggio. Seguiva un trattamento a base di cera volto ad accrescere la trasparenza della carta, per una migliore definizione dell’immagine; ciononostante, le stampe a contatto su carta salata rispetto ai dagherrotipi risultavano inevitabilmente meno nitide e dettagliate. Tra gli indiscutibili vantaggi del metodo di Talbot erano invece i brevi tempi di esposizione, fin dal 1840 ridotti a pochi secondi, e la relativa facilità di esecuzione. La calotipia fu inoltre impiegata per diverse applicazioni scientifiche e per l’illustrazione editoriale; lo stesso Talbot firmò The Pencil of Nature, il primo libro fotografico commercializzato, in 24 dispense, tra il 1844 e il 1846.

I progressi di metà secolo

km

17/04/2020