Venere che scherza con due colombe

Il capolavoro di Hayez tra mito e realtà storica

Il Castello del Buonconsiglio ospita martedì 29 gennaio alle 17 il terzo incontro di approfondimento nell'ambito della mostra dedicata al Riposo durante la fuga in Egitto di Francesco Hayez.

Alessandra Tiddia e Roberto Pancheri proveranno a dare risposta ad alcuni interrogativi quali: la figura che ammiriamo è un'ideale figura mitologica o “la più schifosa donna del volgo”? Il più celebre pittore dell’epoca ritrasse una seducente ballerina per un collezionista trentino innamorato? e altri ancora.

“Prima di ripercorrere la storia della Venere che scherza con due colombe di Francesco Hayez – anticipa lo storico dell’arte Roberto Pancheri - occorre prendere atto che intorno a tale opera si è addensato ‘un alone di leggenda’, per usare le parole di Ugo Ojetti, che ne ha condizionato a lungo la ricezione.

La dea della bellezza e dell’amore vi è raffigurata nelle forme di una giovane donna ripresa da tergo, stante, completamente nuda, a grandezza naturale, con i piedi immersi in un frigido specchio d’acqua, nel quale s’inabissa una gradinata in pietra. Nella parte più in ombra del parapetto al quale la figura femminile si appoggia, contro il chiarore di un drappo bianco magistralmente panneggiato, il pittore ha inserito la propria firma seguita dalla data di esecuzione: 1830. Il fondale è costituito da rilievi montuosi ricoperti da un cupo manto arboreo e dalle fronde di alcuni alberelli. La presenza sulla scena di una fedele copia del Vaso Medici sembrerebbe fare riferimento al limitare di un giardino all’italiana o di un parco all’inglese: un luogo di pura fantasia, in ogni caso. Il vaso all’antica rafforza l’esplicitazione del soggetto mitologico; ma la citazione, a queste date, assume anche il sapore di un addio a un’ideale troppo a lungo inseguito. L’inusuale scenario montuoso, inserito per esplicito desiderio del committente o scelto dall’artista in omaggio alla città di destinazione, fa di questa immagine una Venus Tridentina, titolo che si addice al dipinto di Hayez per ragioni storiche e per esclusione, dato che non si conoscono statue classiche di questo soggetto ritrovate nel territorio della romana Tridentum, né raffigurazioni autoctone della dea di età rinascimentale o barocca capaci di reggere il confronto.

I pregi del dipinto non si limitano alla perizia esecutiva e vanno individuati nell’armonia dell’insieme e nella finezza dei dettagli: nella chioma biondo scuro raccolta sulla nuca e ancora umida per il recente bagno; nell’ondeggiare del filo rosso che trattiene le due colombe selvatiche, leggero e compiaciuto come uno svolazzo calligrafico; nella perfetta illuminotecnica, tesa a esaltare le linee della schiena muscolosa e dei fianchi; nel bracciale d’oro che la modella ostenta al braccio destro e che può essere letto come omaggio al mito della Fornarina, secondo la moda di quel revival raffaellesco avviato da Ingres ad apertura di secolo e largamente diffuso in quegli anni.

Quanto alla presenza delle due colombe, tradizionale attributo della dea, converrà ricordare con Vincenzo Cartari che, presso gli antichi, esse erano chiamate 'gli uccelli di Venere, imperoché sono oltra modo lascivi'. La lascivia è senza alcun dubbio il sottotesto dominante di questa immagine, che conserva, nondimeno, altri livelli di lettura più sofisticati, riuscendo persino a mantenersi in precario equilibrio entro i limiti del decoro; a patto di non infrangere il velo della finzione mitologica per andare a ricercare sotto di esso i connotati di una donna in carne e ossa: il che è esattamente ciò che fecero i contemporanei di Hayez fin dal primo apparire in pubblico del dipinto" - conclude Pancheri.


24/01/2019