Alle origini della fotografia

Niépce e le più antiche immagini impresse dalla luce

Vista dalla finestra a Le Gras, riproduzione dell'eliografia di Joseph Nicéphore Niépce realizzata dallo storico della fotografia Helmut Gernsheim, 1952 circa

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Nel primo Ottocento, la convergenza tra il ritmo serrato delle scoperte scientifiche e gli sviluppi altrettanto dinamici registrati sul piano industriale favorì l’innesto tra i progressi della chimica, allora a una svolta della propria storia, e la tradizione secolare degli studi di ottica, con particolare riguardo al ben noto principio della camera oscura, fondamento dello strumento largamente impiegato dagli artisti per la raffigurazione prospettica di scene e paesaggi. Nel dispositivo si apriva un piccolo foro (detto stenopeico e nel tempo sostituito da lenti) attraverso cui l’immagine del soggetto prescelto veniva proiettata, rovesciata, sulla parete opposta della camera stessa. Si trattava dunque di fissare e rendere stabile tale immagine attraverso l’impiego di idonee sostanze sensibili alla luce.

A questo problema si applicò pionieristicamente Joseph Nicéphore Niépce, autore della più antica fotografia conosciuta, il celebre Point de vue du Gras, realizzato intorno al 1826 con la tecnica dell’eliografia; la ripresa, con la camera oscura, aveva richiesto otto ore di esposizione alla luce del foglio di peltro reso fotosensibile attraverso l’uso del bitume di Giudea, che indurisce se colpito dalla luce.

Il contributo di Niépce alla storia della fotografia risulta fondamentale anche agli effetti della successiva invenzione del dagherrotipo, destinato ad un enorme successo internazionale.

La dagherrotipia

km

09/04/2020