Verbum bonum (sequenza a tre voci, Tr91, 127v-129r)

Le sequenze liturgiche praticate nel Quattrocento (e poi dismesse quasi completamente dopo il 1570) sono capolavori assoluti dell’universo culturale medievale. Per la loro struttura melodica modernissima, costituita di frasi-verso accoppiate, plasticamente e sillabicamente modellate sui versetti di testo (dapprima in prosa e più tardi metrici) erano agevolmente memorizzabili e di facile esecuzione. Il ritmo testuale (generalmente trocaico e ben rilevato, almeno nelle sequenze tarde) e il fluire melodico che prevalentemente si muove per grado congiunto favoriscono un’esecuzione di grande fascino anche agli orecchi moderni. La profondità teologica e spirituale dei testi permetterebbe ancor oggi di utilizzare le sequenze per la catechesi e per un’introduzione al ricchissimo mondo spirituale medievale, con nessi culturali che spaziano in molteplici direzioni (dall’approfondimento biblico alla comprensione di raffigurazioni pittoriche, dalla simbologia allo studio sociologico e del costume, dalla storia del pensiero filosofico all’analisi dell’atteggiamento morale e pastorale dell’epoca).

La sequenza conobbe una grande fortuna nel mondo tedesco e si può dire che quasi ogni festa nel XV secolo aveva una sua sequenza propria da cantare durante la Messa. La produzione di sequenze polifoniche fu molto diffusa nel Quattrocento e i codici trentini ne tramandano 63 esempi.

Il testo di Verbum bonum et suave, con traduzione italiana, è il seguente:

1a. Verbum bonum et suave
personemus illud ‘ave’,
per quod Christi fit conclave
virgo, mater, filia.

1b. Per quod ‘ave’ salutata,
mox concepit fecundata
virgo David stirpe nata,
inter spinas lilia.

2a. Ave, veri Salominis
Mater, vellus Gedeonis
Cuius magi tribus donis
Laudant puerperium.

2b. Ave, solem genuisti,
ave, prolem protulisti,
mundo lapso contulisti
vitam et imperium.

3a. Ave, mater verbi summi,
maris portus, signum dumi,
aromatum virga fumi,
angelorum domina.

3b. Supplicamus nos emenda,

emendatos nos commenda
tuo nato ad habenda
sempiterna gaudia. Amen.

Cantiamo quell’“Ave”,
la parola buona e soave
per cui divenne custode di Cristo
la Vergine, (che è) madre e figlia.

Salutata da quell'“Ave”
la Vergine divenne madre e subito concepì,
nata dalla stirpe di Davide,
giglio tra le spine.

Ave, madre del vero Salomone,
vello di Gedeone: i magi
onorarono tuo figlio
con i loro tre doni.

Ave, tu che hai fatto nascere il Sole,
ave, tu che hai generato il Figlio
e al mondo caduto nel peccato hai recato
la vita e il potere regale.

Ave, madre del verbo altissimo,
porto del mare, immagine del roveto,
virgulto profumato,
signora degli angeli.

Ti supplichiamo: correggi i nostri errori e,
dopo averci corretto, affidaci
a tuo Figlio, affinché possiamo godere
dell'eterna beatitudine. Così sia.

Questa sequenza, destinata ai sabati di Avvento (dedicati a Maria), ripercorre il mistero dell’incarnazione partendo dal saluto dell’angelo Gabriele alla Vergine nell’Annunciazione (raccontato in Lc 1, 28): quell’“ave” che è protagonista anche di altre celebri sequenze, come Ave, mundi spes, Maria. Al posto della dossologia finale (consueta negli inni) compare una supplica accorata, che parafrasa quella che conclude l’Ave Maria.

Due passi possono essere oscuri per chi non conosca il simbolismo medievale: quello riguardante il vello di Gedeone (versetto 2a) e quello che ricorda il roveto (versetto 3a). L'episodio del vello di Gedeone si legge nel libro dei Giudici (cap. VI, 36-40) e il simbolo si riferisce alla verginità di Maria: come lei è rimasta Vergine dopo il parto ed è l'unica immacolata tra tutti gli uomini, così il vello la seconda volta restò asciutto mentre c'era rugiada su tutto il terreno. Identico è il valore del signum dumi, ossia dell’immagine del roveto ardente (che deriva dal racconto biblico: cfr. Es. 3,2 e Deut. 33,16): la verginità di Maria anche dopo il parto è simboleggiata nel roveto ardente che per miracolo non si consuma.

La melodia tradizionale mostra uno schema melodico con numerose ripetizioni, secondo lo schema: a b c d a b c d // e e b c’ e e b c’ // f f b’d f f b’d (dove b inizia come d e b’ inizia come a finisce). Queste frequenti ripetizioni rendono la sequenza facilmente memorizzabile, attribuiscono alla struttura melodica una coesione interna notevole e rivelano una studiata architettura che utilizza la tecnica della variazione.

Nella versione polifonica di Tr91 i versetti dispari (1a, 2a e 3a) impiegano la melodia tradizionale (di chiara derivazione germanica) nel tenor a valori prevalentemente uguali, mentre nei versetti dispari (1b, 2b e 3b) la melodia liturgica è parafrasata al superius.

L’esecuzione è affidata a Giulia Gabrielli (superius), Roberto Gianotti (contratenor), Marco Gozzi e Salvatore De Salvo (tenor a note uguali).

I canti sono eseguiti dal Gruppo vocale da camera Il Virtuoso Ritrovo di Trento.